Il primo caso di adeguamento al diritto comunitario mediante atto amministrativo

Agenzia delle Entrate, Circolare n° 58/e del 31 dicembre 2009
Il contesto:
la Direttiva n. 2008/8/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008 (di seguito Direttiva Servizi) ha apportato modifiche alla Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (di seguito Direttiva IVA), per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi. Le nuove regole incidono profondamente sulla territorialità delle prestazioni di servizi ai fini IVA, individuando lo Stato in cui una determinata prestazione di servizi deve essere assoggettata ad imposta. Il termine previsto affinchè gli Stati adeguino le disposizioni interne a quelle europee è spirato il 1° gennaio 2010
Al riguardo il Consiglio dei Ministri in data 12 novembre 2009 ha proceduto all’esame preliminare del Decreto Legislativo concernente la “Attuazione delle direttive 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE, ma il provvedimento non è stato emanato entro il termine prefissato.
Per cui ad oggi le norme contenute nel DPR n. 633 del 1972, con particolare riferimento all’articolo 7 e 17, nonché nell’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6 del DL n. 331 del 1993, risultano incompatibili con le nuove regole dettate dalla Direttiva Servizi.

Il fatto:
l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n° 58/e del 31 dicembre 2009, considerato che alcune delle disposizioni contenute nella citata direttiva Servizi risultano sufficientemente dettagliate e tali da consentirne la diretta applicazione almeno per ciò che riguarda le regole generali, nelle more dell’adozione del formale provvedimento di recepimento delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, ha fornito istruzioni operative di massima, sulla base delle norme contenute nella ripetuta direttiva che appaiono oggettivamente suscettibili di immediata applicazione.

La questione di diritto:
Questo, almeno credo, si può considerare il primo caso di adeguamento al diritto comunitario mediante atto amministrativo, e non mediante una disposizione avente forza di legge (legge, decreto legislativo, decreto legge).

La legittimità dell’atto amministrativo in relazione al diritto comunitario nella giurisprudenza.
Già nella giurisprudenza amministrativa più recente era stata prevista l’annullabilità per l’illegittimità comunitaria di un atto amministrativo. Infatti il Consiglio di Stato ha affermato chiaramente che la violazione di una norma comunitaria comporta, in definitiva, l’onere in capo al soggetto leso dal provvedimento così viziato di impugnarlo entro il termine perentorio al fine di farne accertare l’illegittimità e di ottenerne l’annullamento, non essendovi alcuna possibilità per il giudice amministrativo di sancirne l’inefficacia, prescindendo dalla sua rituale contestazione in giudizio (Consiglio di Stato, sent. n° 6831/2006).
E successivamente ha confermato che il principio del consolidamento dei provvedimenti non impugnati e della non doverosità dell’attivazione del procedimento di autotutela non viene derogato quando il vizio dedotto è costituito dalla violazione del diritto comunitario. Anche nell’ordinamento comunitario la sola illegittimità dell’atto non è elemento sufficiente per giustificare la sua rimozione in via amministrativa, in quanto è necessaria una attenta ponderazione degli altri interessi coinvolti, tra cui quello del destinatario che ha fatto affidamento sul provvedimento illegittimo. Né si può sostenere che il provvedimento adottato in violazione del diritto comunitario sia nullo.(Consiglio di Stato, sent. n° 35/2003).
Più recentemente si è formato un diverso orientamento per ciò che concerne la validità di un atto conforme ad una norma interna, quando quest’ultima però è in contrasto con il diritto comunitario. Infatti il Consiglio di Stato con la sentenza n° 3072/2009 del 19/05/2009 ha stabilito che la violazione del diritto comunitario implica un vizio di illegittimità – annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante, mentre la nullità (o l’inesistenza) è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario (e quindi disapplicabile). (cfr. anche Consiglio di Stato sent. n. 797/2008 e n. 1645/2005)
La Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 13 gennaio 2004, causa C453/2000, ha affermato anche che Il principio di cooperazione derivante dall’art. 10 CE impone ad un organo amministrativo, investito in una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto dell’interpretazione della disposizione nel frattempo accolta dalla Corte qualora, alla luce di una giurisprudenza della Corte, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata
Quindi ormai la giurisprudenza è orientata ad affermare che:
– quando l’atto amministrativo è in diretto contrasto con il diritto comunitario è annullabile;
– quando l’atto amministrativo è conforme ad una normativa interna in contrasto con il diritto comunitario, è nullo perchè il giudice deve disapplicare la normativa interna (quest’ultimo orientamento comunque incontra diverse critiche nelle opinioni di diversi autori).

La novità dell’adeguamento per atto amministrativo.
Non vi era nessun precedente, però, di adeguamento di una norma interna mediante atto amministrativo, che, sic rebus stantibus, sarebbe conforme al diritto comunitario ma in contrasto con le norme interne.
Sicuramente la posizione dell’Agenzia delle Entrate rischia di sollevare un notevole contenzioso, e anche di aprire “pericolosi” spiragli e tentazioni, per ogni P.A., di adeguarsi alle norme del diritto comunitario anche in violazione delle norme nazionali.
CGiustUEc453_2000
CDS_200300035_SE
CDS_200606831_SE
IVA Circ58_31122009

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