Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.11.2013, n. 5296
L’originaria giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (cui in parte si era adeguata inizialmente anche quella dei giudici amministrativi – v. in particolare, Cass. Civ. sez. lav. 12 settembre 1991, n. 9536) secondo la quale nel computo di termini a mesi come quello relativo al periodo di prova si applicano le disposizioni generali sul calendario comune ed è, quindi, esclusa la possibilità di aggiungere ai mesi del calendario i giorni nei quali sia mancata la prestazione, appare allo stato superata dall’orientamento prevalente espresso dalla stessa Corte di Cassazione in tempi più recenti (v. ex multis Cass. Civ., sez. lav., 22 marzo 2012 n. 4573 ut supra). Rileva, pertanto, il Collegio come sia oggi del tutto pacifico l’assunto secondo il quale, ai fini del computo del periodo di prova (implicando tale istituto il concorso di due elementi fondamentali costituiti dal decorso di un certo termine prefissato e dalla valutazione dell’interesse a rendere stabile un rapporto di lavoro tuttora precario in ragione delle capacità e attitudini manifestate dal dipendente nell’espletamento della prova), non può che tenersi conto del servizio “effettivo”. Devono considerarsi inclusi in tale nozione esclusivamente i periodi di lavoro concretamente effettuato nonché quelli che, nel volgere di un arco temporale complessivo predeterminato, sono coessenziali al normale rapporto contrattuale anche in mancanza della prestazione, quali per l’appunto il riposo settimanale e le festività. Al contrario non possono considerarsi computabili quei periodi nei quali la prestazione lavorativa è venuta meno per cause non previste e non prevedibili quali possono essere i periodi di assenza per malattia, gravidanza o puerperio, sciopero, etc.