Corte di Cassazione Civile, sez. 3, sentenza n. 17024 del 20 agosto 2015.
La vessatorietà della clausola, ai sensi dell’art. 33, lettera (q), d. Lgs. 206/05, è manifesta.
La previsione per cui il beneficiario deve formulare domanda di indennizzo su un modulo predisposto dall’assicuratore si pone in contrasto col principio di libertà delle forme, che permea di sé l’intera materia delle obbligazioni.
La previsione per cui il beneficiario deve sottoscrivere la richiesta di indennizzo “presso l’Agenzia INA di competenza” viola addirittura la libertà personale e di movimento del beneficiario, imponendogli di fatto una servitù personale senza nessun beneficio o vantaggio per l’assicuratore.
La previsione per cui il beneficiario deve produrre una relazione medica sulla sorte del portatore di rischio non solo pone un non irrilevante onere economico a carico del beneficiario, ma per di più pone a suo carico l’onere di documentare le cause del sinistro, onere che per legge non ha.
Nell’assicurazione sulla vita, infatti, il beneficiario ha il solo onere di provare l’avverarsi del rischio, e quindi la morte della persona sulla cui cita è stata stipulata l’assicurazione (c.d. portatore di rischio). La circostanza che la morte possa essere avvenuta per cause che escludano l’indennizzabilità secondo le previsioni contrattuali, in quanto fatto estintivo della pretesa attorea, va provato dall’assicuratore, non dal beneficiario.
La previsione per cui il beneficiario, a semplice richiesta, deve proporre le cartelle cliniche relative ai ricoveri della persona deceduta per un verso è di sconfinata latitudine, in quanto – non ponendo limiti temporali – facoltizza l’assicuratore, in teoria, a domandare sinanche cartelle cliniche relative a ricoveri subiti dal portatore di rischio in gioventù o comunque molti anni prima del decesso; per altro verso addossa al beneficiario l’onere economico di estrazione delle relative copie, e l’onere materiale di contrastare eventuali eccezioni di insostenibilità che la struttura sanitaria potrebbe opporgli, invocando le norme a tutela della riservatezza.
La previsione per cui il beneficiario deve produrre un atto notorio riguardante lo “stato successorio” del deceduto è inutile, posto che il beneficio acquista il diritto all’indennizzo jure proprio, non certo jure haereditario, e per l’assicuratore è irrilevante sapere se il deceduto sia morto ab intestato oppure no. Né la Generali nel presente giudizio, ha mai allegato che, essendo la polizza beneficiata a vantaggio genericamente “degli eredi”, come pure talora accade, fosse per essa necessario sapere ch fossero questi ultimi.
La previsione per cui il beneficiario deve produrre l’originale della polizza, infine, è anch’essa inutilmente gravosa, posto che di essa l’assicuratore è necessariamente già in possesso (art. 1888 c.c.), e per evitare pagamenti erronei l’unica esigenza dell’assicuratore è accertare l’identità personale del richiedente l’indennizzo, fine per il quale il possesso della polizza è irrilevante.
Tutte queste previsioni, ciascuna delle quali già di per sé gravosa, messe insieme formano un cocktail giugulatorio ed opprimente per il beneficiario, e per di più senza alcun reale vantaggio per l’assicuratore, che non sia quello di frapporre formalistici ostacoli al pagamento dell’indennizzo.
Da quanto esposto la Corte ha dichiarato nulla ai sensi dell’art. 33, comma 2, lettera (q), d. Igs. 6.9.2005 n. 206, la clausola n. 16 del contratto.