Per integrare il reato ai fini della normativa antiriciclaggio, è sufficiente la consapevolezza di omettere dei controlli, anche se in buona fede.

Corte di Cassazione, sez. 4 Penale, sentenza n. 46415 dep. 24 novembre 2015

La normativa antiriciclaggio prescrive a soggetti che si trovino ad essere intermediari di danaro, obblighi particolarmente rigorosi in relazione all’identificazione dei soggetti che partecipino a transazioni. La normativa ha il precipuo scopo di rendere identificabili i soggetti che muovano capitali e, al tempo stesso, nasce anche per impedire, creando un ostacolo da parte di chi riceve il danaro, comportamenti fraudolenti in cui si spenda il nome altrui come quelli posti in essere dall’imputata principale di questo processo. Fondata è dunque la doglianza proposta dal PG nel senso che la possibilità che le due imputate si siano fidate della consulente del lavoro, nota all’ufficio, inducendole ad omettere di verificare personalmente l’identità di colui che, apparentemente, richiedeva il prestito, non esclude la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Va ribadito, infatti, che è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 55 D.Igs 231/2007, il dolo generico, cioè la circostanza -nel caso che ci occupa incontestata- che l’intermediario ometta intenzionalmente di procedere all’identificazione personale, richiesta dall’art. 18 e sanzionata dall’art. 55, senza che sussista una causa di giustificazione. Ma quest’ultima dev’essere tale in senso tecnico, e non pare proprio che in tal senso possa essere interpretata la “fiducia” riposta in chi presenta la richiesta di prestito per conto altrui
antiriciclaggio dolo generico Cass46415_2015

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