Corte di Cassazione, sez. L, sentenza n. 3422 del 22 febbraio 2016.
In tema di riclassificazione del personale il datore di lavoro non può limitarsi ad affermare semplicemente la sussistenza di una equivalenza “convenzionale” tra le mansioni svolte in precedenza e quelle assegnate a seguito dell’entrata in vigore della nuova classificazione, dovendo per contro procedersi ad una ponderata valutazione della professionalità del lavoratore al fine della salvaguardia, in concreto, del livello professionale acquisito, e di una effettiva garanzia dell’accrescimento delle capacità professionali del dipendente (Cass. n. 13714 del 2015; Cass. n. 13499 del 2014; Cass. n. 4989 del 2014; Cass. n. 15010 del 2013; Cass. n. 20718 del 2013; in precedenza, parzialmente difformi, v. Cass. n. 6971 e n. 23763 del 2009). le nuove mansioni devono quanto meno armonizzarsi con le capacità professionali acquisite dall’interessato durante il rapporto di lavoro, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi Certo, dall’astratta potenzialità lesiva dell’assegnazione a mansioni inferiori ad opera del datore di lavoro non deriva automaticamente l’esistenza di un danno, il quale non è immancabilmente ravvisabile solo in ragione di essa (Cass. SS.UU. n. 6572 del 2006). Fermi gli oneri di allegazione e di prova gravanti su chi denuncia di aver subito il pregiudizio, compete tuttavia al giudice di merito non solo ogni accertamento e valutazione di fatto circa la concreta sussistenza e la individuazione della specie del danno, ma anche la sua liquidazione – in ipotesi anche equitativa – sindacabile, in sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione (in tal senso, v. Cass. n. 14199 del 2001; altresì: Cass. n. 9138 del 2011, Cass. n. 2352 del 2010, Cass. n. 10864 del 2009, Cass. n. 5333 del 2003; Cass. n. 10268 del 2002; Cass. n. 18599 del 2001, Cass. n. 104 del 1999). I criteri di valutazione equitativa, la cui scelta ed adozione è rimessa in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19778 del 2014; Cass. n. 4652 del 2009; Cass. n. 28274 del 2008; Cass. SS.UU.. n. 6572/2006 cit.). Nella specie la sentenza impugnata, seppur sinteticamente, indica gli elementi di fatto in base ai quali ha ritenuto accertato un danno alla professionalità, avuto riguardo all’attribuzione di compiti esecutivi privi di particolare qualificazione, idonea non solo ad impedire il naturale sviluppo professionale, curato per anni anche con la partecipazione a corsi di formazione e addestramento, ma anche a compromettere irrimediabilmente il bagaglio di conoscenze tecniche già acquisite dal lavoratore si è altresì valorizzata la durata non esigua della dequalificazione e la lesione dell’immagine professionale per l’assegnazione di compiti riservati a dipendenti con qualificazione inferiore. La Corte di Appello ha poi liquidato il danno medesimo stimando equo commisurarlo al 40% delle retribuzioni dovute per il periodo del demansionamento.
Conforme a Cassazione 1916/2015, 12253/2015, 17123/2015, 22635/2015, 22930/2015