Corte di Cassazione, sez. L., sentenza n. 10069 del 17 maggio 2016
La tempestività della contestazione disciplinare non deve essere valutata alla luce d’un preteso obbligo, in capo al datare di lavoro, di continua o comunque tempestivo controllo dell’operato dei propri dipendenti: nessuna norma di legge o di contratto lo prevede, né esso può dirsi connaturato alla posizione datoriale. Prova ne sia che per potersi parlare di obbligo all’interno d’un rapporto sinallagmatico dovrebbe individuarsi la correlata posizione attiva a favore dell’altra parte. Ma non è ipotizzabile un diritto del dipendente ad essere controllato o ad essere subito informato del fatto che le proprie infrazioni siano state scoperte dal datare di lavoro. Né siffatto obbligo può ricavarsi dai principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr. Cass. n. 16196/09): lo smentisce il carattere fiduciario del rapporto di lavoro, che fa si che normalmente il datore di lavoro conti sulla correttezza del proprio dipendente, ossia che faccia affidamento sul fatto che il lavoratore rispetti i propri doveri anche in assenza di assidui controlli. Dunque, il supporre (come si legge nell’impugnata sentenza) che le clausole generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. impongano al datare di lavoro di controllare assiduamente i propri dipendenti (contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento) nega in radice il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato. In breve, connaturato alla posizione del datore di lavoro è il suo potere di controllo (che costituisce una delle specificazioni del potere gerarchico e direttiva di cui agli artt. 2086 e 2104 cpv. c.c.), non certo il suo obbligo.
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