In caso di phishing, l’onere della prova ricade sulla banca

Corte di Cassazione Civile, sez. 1, sentenza n. 10638 del 23 maggio 2016

Il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 dispone l’obbligo del prestatore del servizio di pagamento di assicurare che i dispostivi personalizzati forniti dai gestori non siano accessibili a soggetti diversi dal legittimo titolare. In punto di ripartizione delle responsabilità derivanti dall’utilizzazione del servizio, il citato d.lgs., artt. 10 e 11, prevede che, qualora l’utente neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già effettuata, l’onere di provare la genuinità della transazione ricade essenzialmente sul prestatore del servizio. E nel contempo obbliga quest’ultimo a rifondere con sostanziale immediatezza il correntista in caso di operazione disconosciuta, tranne ove vi sia un motivato sospetto di frode, e salva naturalmente la possibilità per il prestatore di servizi di pagamento di dimostrare anche in un momento successivo che l’operazione di pagamento era stata autorizzata, con consequenziale diritto di chiedere e ottenere, in tal caso, dall’utilizzatore, la restituzione dell’importo rimborsato.
Conseguentemente, l’istituto creditizio risponde, quale titolare del trattamento di dati personali, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico del cliente mediante la captazione dei suoi codici di accesso e le conseguenti illegittime disposizioni di bonifico, se non prova che l’evento dannoso non gli è imputabile perché discendente da trascuratezza, errore (o frode) dell’interessato o da forza maggiore
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20160524/snciv@s10@a2016@n10638@tS.clean.pdf

Comments are closed.