Non sono perentori i termini che scandiscono il procedimento disciplinare, ma solo quello conclusivo

Corte di Cassazione Civile, Sez. L, sentenza n. 18315 del 19 settembre 2016

Sull’interpretazione di disposizioni contrattuali che prevedono, come quella in esame, un analogo termine di venti giorni, entro il quale, dalla conoscenza del fatto, deve essere effettuata la contestazione da parte del datare di lavoro, questa Corte si è già pronunciata con statuizione alla quale si intende dare continuità, secondo la quale la natura dei termini contrattualmente previsti per lo svolgimento del procedimento disciplinare deve essere definita con riguardo allo scopo che essi perseguono nel procedimento, nella prospettiva di un’inderogabile garanzia della necessaria legittimità di tutto il relativo procedimento, con la conseguenza che il carattere della perentorietà non è generalmente rinvenibile in tutti i termini volti a cadenzarne l’andamento (quali quello per la segnalazione d’ufficio, per la contestazione degli addebiti e la relativa comunicazione all’interessato), ma deve essere riconosciuto solo a quello stabilito per la sua conclusione (Cass., n. 24529 del 2015; n. 19216 del 2014; n. 6091 del 2010; n. 5637 del 2009). Tali pronunce hanno confermato che in tema di sanzioni disciplinari, qualora il contratto collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del procedimento disciplinare e un termine per la conclusione di tale procedimento, solo quest’ultimo è perentorio, con conseguente nullità della sanzione in caso di inosservanza, mentre i termini interni sono ordinatori e la violazione di essi comporta la nullità della sanzione solo nel caso in cui l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa, circostanza che non ha costituito oggetto delle censure.
la sentenza

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