Corte di Cassazione, sez. L, sentenza n. 20677 del 13 ottobre 2016
Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione per avere la sentenza di appello apoditticamente riconosciuto un danno da demansionamento quantificato in 2/5 della retribuzione, malgrado le gravi carenze di allegazione in proposito.
Ma la Suprema Corte ha stabilito che il danno da dennansionannento professionale, ferma restandone la necessità di allegazione da parte di chi lo lamenti, può legittimamente ricavarsi anche in via presuntiva o mediante ricorso a massime di comune esperienza ex art. 115 cpv. c.p.c. (cfr., ex aliis, Cass. n. 4652/09; Cass. S.U. n. 6572/06). Nel caso di specie, del danno sono state riscontrate l’allegazione e la prova, sia pure ricavata – quest’ultima – mediante presunzioni, considerata la durata della dequalificazione (oltre tre anni e mezzo), la mortificazione dell’immagine professionale e delle esperienze lavorative già acquisite, la marginalizzazione della posizione del dipendente e la conseguente perdita di contatto con i settori più qualificanti dell’attività bancaria. In tal modo la sentenza impugnata si è attenuta agli indici sintomatici elaborati quali elementi utilizzabili in via presuntiva del danno da demansionamento (cfr. cit. Cass. S.U. n. 6572/06), sicché non merita censura. Per la liquidazione di tale danno patrimoniale, risarcibile in via necessariamente equitativa, è ammissibile il parametro della retribuzione (cfr., ad esempio, Cass. n. 12253/15; Cass. n. 7967/02) cui la gravata pronuncia ha fatto corretto ricorso (in misura pari ai 2/5 della retribuzione stessa