Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza n. 318 del 21 novembre 2016
Il Collegio, dall’esame degli atti, ha tratto il convincimento che il primo atto aggiuntivo di un appalto di servizi avente ad oggetto l’attività amministrativa di esame di domande di accesso ad un finanziamento pubblico, non abbia un valido fondamento e, ciò, nella considerazione che l’elevato numero delle domande presentate, ancorchè non prevedibile al momento di pubblicazione del bando, non possa essere considerata circostanza legittimante la variazione dell’importo contrattuale, pur se attuata con uno strumento, quello del quinto d’obbligo, previsto nel contratto e nel capitolato generale.
Verificatosi tale evento, la stazione appaltante avrebbe dovuto richiamare la previsione contrattuale dell’assunzione del rischio derivante dalla prestazione ed esigere dalla controparte gli adempimenti derivanti dal contratto. Ed, invece, ha ritenuto, con comportamento gravemente colposo, di stipulare un atto aggiuntivo, peraltro di considerevole importo, per ottenere dalla controparte una prestazione che era già contenuta nel contratto e che soprattutto era già remunerata. Non può condividersi l’assunto difensivo di non aver comunque sforato lo stanziamento previsto o di aver comunque utilizzato il quinto d’obbligo.
Tale strumento del quinto d’obbligo non può essere considerato una valvola di sicurezza per il verificarsi di ogni e qualsiasi circostanza non prevedibile ma soltanto in casi eccezionali e specificamente individuati dalle norme di legge o convenzionali che le richiamano.
la sentenza