Corte di Cassazione, sez. 2, sentenza 24255 del 29 novembre 2016
Il legale rappresentante della società X, anziché emettere assegni di importo pari alle variabili necessità di danaro liquido della società (talvolta giustificate con l’esigenza di provvedere ai pagamenti spettanti ai conferitori, talaltra con non meglio specificate esigenze amministrative), ricorreva sistematicamente all’emissione per un importo inferiore ai 20 milioni di lire, con ciò manifestando – secondo l’apprezzamento del giudice di merito – un ben preciso intento elusivo (ovverosia finalizzato all’unico scopo di non incorrere nella segnalazione dovuta dall’intermediario e nelle successive verifiche ispettive), che avrebbe doverosamente imposto l’attivazione della segnalazione prevista per la normativa antiriciclaggio.
Ad avviso della Corte, in presenza di un sì evidente e ripetuto comportamento evasivo, sintomo della conoscenza da parte del cliente della normativa antiriciclaggio e della precisa finalità di evitare la segnalazione, la Banca avrebbe dovuto diligentemente riversare sulle autorità competenti il compito di verificare le ragioni di una condotta pervicace ed oggettivamente sospetta, anziché trincerarsi dietro un convincimento di liceità del’operato della società X, convincimento del tutto soggettivo, fondato su una inesatta e incompleta percezione della realtà. Insomma nel caso di specie, si imponeva la segnalazione, espressamente prevista dal decalogo della Banca di Italia “in caso di frequente ricorso a tecniche di frazionamento dell’operazione, soprattutto se volte ed eludere gli obblighi di identificazione o registrazione” (v. pagg. 13 e ss sentenza impugnata). Sui fatti di rilevanza penale commessi, per così dire, a monte delle operazioni bancarie di cui si discute, la Corte d’Appello ha riportato le dichiarazioni del Maresciallo della Guardia di Finanza da cui emergeva che “i movimenti di merce sottostanti alle ingenti movimentazioni di danaro in contanti sono risultati inesistenti”.