Corte di Cassazione, sez. L, sentenza n. 482 del 11 gennaio 2017
Il riconoscimento del trattamento economico corrispondente alle mansioni effettivamente espletate prescinde dalla legittimità della relativa assegnazione (cfr., Cass., S.U., 105549/08) e che, anche nel caso in cui la promozione sia stata illegittima, troverebbe applicazione l’art. 2126 c.c., in base al disposto del quale “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione”; per la qual cosa, il lavoratore deve essere pagato per il lavoro svolto nella qualifica allo stesso attribuita, legittimamente o illegittimamente (cfr., pure, Cons. Stato n. 685/06). Inoltre, in caso di recupero derivante dall’annullamento di un inquadramento illegittimo di un proprio dipendente, la Pubblica Amministrazione deve tenere conto del principio di corrispettività delle prestazioni di lavoro subordinato medio tempore espletate e non deve procedere alla ripetizione in caso di mansioni effettivamente svolte (Cons. Stato, Sez. V, n. 2833/01). La Corte di merito, correttamente sussumendo la fattispecie nella disposizione di cui all’art. 2126 c.c., conformemente all’indirizzo giurisprudenziale di questa Suprema Corte, alla stregua del quale si applica la predetta norma per il pubblico dipendente anche se abbia svolto attività in violazione di norme imperative, ha reputato, con argomentazioni ineccepibili – una volta accertato l’effettivo svolgimento, da parte del Paduano, delle mansioni superiori di cui si tratta, correlate alla superiore qualifica —, che le retribuzioni percepite per l’attività di fatto svolta ed il trattamento di fine rapporto fossero, appunto, disciplinate dalla norma citata, trovandosi in presenza di un annullamento di un atto di conferimento di mansioni superiori equiparabile all’annullamento del contratto di cui all’art. 2126 c.c.. E dall’applicabilità di tale ultima norma, che rende intangibile sia la retribuzione, sia la pensione che matura alla stregua della retribuzione corrisposta, discende la infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, posto che l’art. 2126 c.c. assicura la debenza delle retribuzioni e dei loro riflessi e l’art. 8 del d.P.R. n. 818/57 (ancora vigente in materia di assicurazione obbligatoria), la computabilità dei contributi indebitamente versati che rendono non più indebita la pensione maturata (in base all’art. 8 cit. “rimangono acquisiti e sono computabili agli effetti del diritto alla prestazione assicurativa i contributi per i quali l’accertamento dell’indebito versamento sia posteriore di oltre 5 anni alla data in cui il versamento è stato effettuato”).
la sentenza