Corte di Cassazione, sez. L, sentenza n. 2011 del 26 gennaio 2017
(per una sentenza riguardante il periodo post-riforma d.lgs. 150/2009, cfr https://wp.me/pEM0l-NC)
(per una trattazione più organica in materia di demansionamento, consulta il seguente articolo)
Il d.lgs. n. 165 del 2001 ha disciplinato interamente la materia delle mansioni all’art. 52, e, al comma 1, ha sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi (testo anteriore alla sostituzione operata dal d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1). La lettera del citato art. 52, comma 1, specifica un concetto di equivalenza “formale”, ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non sindacabile da parte del giudice. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
A partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 8740/08, è principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di pubblico impiego contrattualizzzato, non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (come già detto, nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62, comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame) – che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 17396/11; Cass. n. 18283/10; Cass. sez.un. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016). Dunque, non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/01 qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l’operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’operazione di verifica dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria.
Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. n. 11835 del 2009). Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente l’equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro. Resta comunque salva l’ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Trattasi di questione che, tuttavia – giova rimarcare – esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi nella diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego (Cass. n. 11835 del 2009, n. 11405 del 2010, nonché Cass. n. 687 del 2014).
la sentenza
in senso conforme Corte di Cassazione, sez. L, sentenza n. 2140 del 27 gennaio 2017
“La cassazione, sezione lavoro, nell’emanare la sentenza di che trattasi, non ha tenuto conto dell’esistenza degli elementi appresso indicati, accertati nei relativi giudizi di primo grado e d’appello, adeguatamente provati e documentati nelle rispettive sentenze: la n. 25 del 2007 del Tribunale di Camerino e la n. 493 del 2010 della corte d’appello di Ancona. Elementi di seguito riferiti, mai contestati dalle parti in causa ne’ dalla procura generale, la quale ha concluso per il respingimento del ricorso avanzato dal Comune.
Vigenza, fino al 2017, dell’articolo 4 della legge regionale Marche n. 38 del 1988, la quale elenca i molteplici e complessi compiti esclusivi degli appartenenti alla polizia municipale (e del Comandante). La norma, al punto i, prevedeva compiti aggiuntivi, da prescriversi con regolamento comunale, nel caso di specie mai emanato.Legge regionale attuativa della 65/1986, confermate in vigore dai vari decreti legislativi sulla c.d.privatizzazione del pubblico impiego.=
Privazione da parte comunale di tutti i riferiti compiti, con relegamento in soffitta del Comandante dei vigili urbani, al quale, in violazione della citata norma, sono state formalmente affidate le funzioni statistiche del Comune, mai esercitate, poiche’ ciascun ufficio comunale, geloso delle sue prerogative, ha continuato a svolgerle. Eccezion fatta per le statistiche edilizie, sempre negative per decenni. Mansioni esercitabili e svolte in pochissimi minuti al giorno. =
Firmato Ivano Bianchini, dottore in giurisprudenza, specialista in professioni legali.”