In caso di eccedenze nel pubblico impiego inferiori a dieci unità, non è necessario il coinvolgimento dei sindacati

Corte di Cassazione, sez L, sentenza n. 3738 del 13 febbraio 2017

In caso dell’eccedenza riguardante un numero di dipendenti inferiore a dieci unità, la tutela desumibile dai commi 7 e 8 dell’articolo 33 comporta l’assimilazione alla fattispecie regolata dai commi precedenti (soltanto) quanto a collocamento in disponibilità, iscrizione negli elenchi ex art.34, sospensione delle obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro, percezione del trattamento indennitario, risoluzione del rapporto allo scadere del termine biennale di permanenza in disponibilità. La circostanza che il legislatore abbia previsto il coinvolgimento delle parti sindacali solo in caso di eccedenze qualificate dal superamento di un determinato limite numerico non comporta, tuttavia, l’assenza di vincoli a carico della P.A. ove la dichiarazione di disponibilità interessi un numero inferiore a dieci unità. Laddove non trovi applicazione la disciplina speciale (“salvo quanto previsto dal presente articolo”), operano “le disposizioni di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, ed in particolare l’articolo 4, comma 11 e l’articolo 5, commi 1 e 2, e successive modificazioni ed integrazioni”. L’art. 4, comma 11, della legge n. 223/91 contempla l’eventualità che con accordo sindacale il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti possa avvenire anche in deroga al secondo comma dell’art. 2103 del codice civile, mediante l’assegnazione a mansioni diverse ed eventualmente inferiori. L’art. 5, commi 1 e 2, contempla i criteri di scelta dei lavoratori e prevede – tra l’altro – che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità debba avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi, ovvero, in mancanza, “nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative”.Come correttamente rilevato dalla Corte di appello della sentenza impugnata, permane l’obbligo dell’Amministrazione di adoperarsi affinché sia esplorata ogni possibilità di diverso impiego o di ricollocazione alternativa del dipendente, ossia l’obbligo di repechage dei lavoratori reputati in esubero. Del pari trovano applicazione, in via analogica, i criteri di scelta individuati alla stregua dell’art. 5 L. n. 223/91, purché si faccia questioni in giudizio della selezione dei dipendenti. Quanto all’obbligo di repechage, la Corte di appello, alla stregua della documentazione esaminata e ritenuta rilevante ai fini del decidere (segnatamente, il piano triennale ed il piano annuale del personale allegato alla determinazione commissariale n. 36 del 14 giugno 2005) e tenuto conto delle risultanze della prova testimoniale, ha ritenuto che la C.C.I.A.A. avesse fornito un’adeguata giustificazione dell’impossibilità di reimpiego del Caporaso nell stessa amministrazione. 10.3. La Corte territorial ure osservato, con riferimento alla ricollocazione presso altrAf—– amministrazioni, che la Camera di Commercio aveva provveduto alla comunicazione ex art. 34 d.lgs. n. 165/01, adempimento prescritto ai fini della iscrizione del personale in disponibilità negli appositi elenchi, finalizzati al recupero delle eccedenze di personale.

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