Il comma 7 bis dell’art. 53 D.L.vo n. 165/2001 recita: “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.
La disposizione introdotta con la c.d. “normativa anticorruzione” (ovverosia la legge n. 190/2012) non introduce alcuna fattispecie tipizzata di responsabilità amministrativa, ma si limita a rafforzare quanto già in precedenza affermato da un solido orientamento giurisprudenziale in materia proveniente (tra le altre, per fattispecie insorte prima della legge n. 190/2012, Corte dei conti, Sez. Lombardia, n. 216/2014; Sez. Puglia n. 230/2015).
In altri termini il Legislatore ha voluto ribadire, confermandolo, un precetto che già poteva e doveva ritenersi consolidato nell’ambito delle norme di comportamento del dipendente pubblico. Ne consegue che, anche in assenza della precisazione contenuta nel comma 7 bis, la mancanza di autorizzazione nello svolgimento di un’attività extra lavorativa costituisce una condotta illecita con conseguente danno all’erario.
La natura ricognitiva della norma dell’art. 53, comma 7 bis, D.L.vo n. 165/2001 trova una conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte, che con sentenza a SS.UU. n. 22688/2011 ha ribadito la giurisdizione contabile per l’ipotesi di responsabilità amministrativa di un dipendente pubblico per la violazione non solo dei doveri tipici delle funzioni svolte, ma anche delle funzioni strumentali e, conseguentemente, nel caso di omessa richiesta di autorizzazione allo svolgimento d’incarichi extra lavorativi.
Ne consegue che anche in assenza della precisazione contenuta nel comma così novellato, la Corte dei conti è comunque abilitata alla cognizione della notitia damni contestata dalla Procura.