Consiglio di Stato, sentenza n. 1038 del 6 marzo 2017
Gli stessi esiti – ai quali si richiama anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel parere ex art. 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287,
invocato dall’appellante (nota di prot. n. 5124 dell’11 settembre 2015) – conducono quindi a ritenere non superato il test di proporzionalità e ragionevolezza cui la suddivisione in lotti e la conseguente definizione dei requisiti di partecipazione sono soggetti nella presente sede giurisdizionale di legittimità.
E’ infatti evidente che una così limitata partecipazione di operatori economici non risponde agli obiettivi della stessa centralizzazione della domanda pubblica attraverso convenzioni nazionali cui le amministrazioni sono tenute ad aderire, e cioè di risparmio di costi per queste ultime (come da ultimo ribadito dal più volte citato art. 9 d.l. n. 66 del 2014).
Tutte queste circostanze confermano che le dimensioni dei lotti, i requisiti di fatturato richiesti, la possibilità di partecipare a più di lotti e il cumulo di requisiti imposto per questa eventualità sono sproporzionate rispetto alle esigenze di massima concorrenzialità e irragionevolmente lesive dell’interesse della stessa amministrazione a favorire la più ampia partecipazione di operatori privati al fine di conseguire i maggiori risparmi economici che solo un confronto competitivo ampio può assicurare.
Del pari, le medesime circostanze denotano una carente istruttoria da parte della centrale di committenza nell’individuazione di dimensioni territoriali dei lotti ottimali e cioè in grado di bilanciare gli interessi ora esposti con quello di non segmentare eccessivamente le convenzioni da aggiudicare all’esito della gara ed evitare quindi i rischi di saturare con pochi ordinativi il fabbisogno delle pubbliche amministrazioni obbligate per legge ad aderirvi.