Consiglio di Stato, sentenza n. 818 del 21 febbraio 2017
All’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 2-bis, l. 241/90, che ha disciplinato le distinte ipotesi dell’indennizzo per mero ritardo e del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, non può dubitarsi che la responsabilità addebitata in capo all’amministrazione in questa seconda ipotesi ha natura extracontrattuale,
a fronte degli evidenti richiami agli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano sia in termini di danno che di elemento soggettivo (cfr. Cons. St., Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182; Id., Sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5600). Questa soluzione risulta essere stata anche quella adottata dalla giurisprudenza prevalente prima della l. 69/2009. Infatti, a fronte di poche pronunce che hanno teorizzato la riconducibilità della responsabilità dell’amministrazione all’interno di un paradigma contrattuale da contatto sociale, le soluzioni giurisprudenziali nettamente prevalenti e preferibili anche per ragioni di continuità di disciplina hanno fatto riferimento al paradigma aquiliano sia per il risarcimento del danno causato dal provvedimento dell’amministrazione che per quello cagionato dall’inerzia dell’amministrazione (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2756; Id., 9 ottobre 2013, n. 4968).
Da ciò deriva che il termine al quale fare riferimento per il computo della prescrizione è quello quinquennale ex art. 2947 c.c. e non decennale. Termine che come correttamente rilevato dal primo giudice risulta inutilmente decorso, non potendosi ritenere atti interruttivi se non quelli con i quali si invoca la tutela specifica del diritto in questione, che è posizione giuridica autonoma e distinta rispetto all’interesse legittimo, pur se con lo stesso interrelato. Pertanto, la circostanza che il risarcimento monetario rappresenti una tutela per equivalente rispetto al bene della vita sotteso all’interesse legittimo non toglie che questa stessa tutela abbia per oggetto il diritto al risarcimento che conosce una sua distinta disciplina sia a livello sostanziale che a livello processuale (cfr. Cons. St., Sez. V, 12 luglio 2007, n. 3922).