Il Governo toglie poteri all’ANAC. L’iter e le motivazioni

Il Consiglio di Stato aveva per ben tre volte chiesto la modifica dei poteri all’ANAC: ecco nel dettaglio tutto l’iter

Il Governo aveva tempo fino al 19 aprile 2017 per apportare le correzioni al decreto legislativo sui contratti pubblici n. 50/2016.
La legge delega originaria (l. 11/2016) prevedeva, con il criterio direttivo contenuto nella lett. t) del comma 1 dell’unico articolo, “l’attribuzione all’ANAC di piu’ ampie funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio, nonche’ di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante e fatta salva l’impugnabilita’ di tutte le decisioni e gli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa”.

Il Consiglio di Stato aveva da subito espresso i propri dubbi, con il parere dato già alla prima versione del codice, su uno strumento particolare previsto dall’art. 211 comma 2: la raccomandazione vincolante. Era previsto che in caso di illegittimità degli atti, l’ANAC potesse emettere una “raccomandazione vincolante” per la P.A., che, se non si adeguava, soggiaceva ad una sanzione pecuniaria, salvo fatto il diritto a ricorrere al giudice amministrativo.
Nel parere n. 855/2016 il Consiglio di Stato raccomandava al Governo:” si rimoduli il potere dell’ANAC di sollecito dell’autotutela delle stazioni appaltanti, trasformandolo da potere sanzionatorio a potere impugnatorio secondo il modello AGCM (controllo collaborativo)”, e proponeva la seguente formulazione:
L’Anac, se ritiene che un atto del comma 1 sia affetto da un vizio di legittimità emette, entro sessanta giorni un parere motivato nel quale indica gli specifici profili della vio!azjoni rùcontrate. Se la stazione appaltante non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere l’Autorità può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Ai giudizi di cui al periodo precedente si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo“.

Con tale formulazione, a fare ricorso era l’ANAC, mentre nell’originaria formulazione l’ANAC irrogava la sanzione e a dover fare ricorso era la stazione appaltante.

Il Governo, in sede di approvazione del decreto legislativo, tirava dritto a conservava la disposizione criticata.

Il Consiglio di Stato tornava alla carica, in sede di parere reso sullo “schema di regolamento in materia di attività di vigilanza” dell’ANAC (parere 2777/2016), affermando:
Quello delle raccomandazioni vincolanti è un istituto nuovo, di difficile inquadramento nel nostro sistema. Questo Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 2016, ha già espresso motivate riserve sull’introduzione del nuovo istituto, segnalandone la natura di «annullamento mascherato», non facilmente compatibile con il riparto delle competenze riconosciute alle singole amministrazioni e con il sistema delle autonomie, e ne ha evidenziato in particolare l’anomalia della portata effettuale, sul piano della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi sino a loro annullamento, in quanto la sanzione amministrativa, prevista dall’art. 211, comma 2, del codice colpisce il rifiuto di autotutela e, cioè, un provvedimento di cui deve presumersi la legittimità, sino a prova contraria, quasi a prefigurare una inedita «responsabilità da atto legittimo».

Anche stavolta il “consiglio del Consiglio” rimaneva senza effetto.
Infatti, nel testo del correttivo al codice approvato in via preliminare e inviato alle Camere, alla Conferenza delle Regioni e al Consiglio di Stato, non si modificava pressochè nulla sulle raccomandazioni vincolanti.

Infatti, sempre il Consiglio di Stato, nel parere 432/2017 sullo schema di decreto correttivo, faceva notare la “dimenticanza”, e scriveva: “L’art. 211, comma 2, codice, se si eccettua la correzione di un errore materiale, non risulta modificato dal correttivo e pertanto sembra destinato a mantenere la disciplina relativa alla c.d. “raccomandazione vincolante dell’ANAC”. In proposito, questo Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 2016 sul codice dei contratti pubblici e nel parere n. 2777 del 2016 sullo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza dell’ANAC, ha già espresso motivate riserve sull’introduzione del nuovo istituto, che qui si intendono integralmente richiamate.”
E ancora, poco dopo: “Il legislatore ha tuttavia mantenuto la previsione originaria, che conferisce all’ANAC il potere di incidere, con efficacia vincolante, sulla legittimità degli atti di gara, secondo una nozione dinamica della vigilanza”.

E quindi concludeva, dopo una lunga argomentazione: Alla stregua di quanto esposto, occorre quindi segnalare ancora una volta al Governo la necessità di riconsiderare la disposizione dell’art. 211, comma 2, del codice. Ove poi si volesse attribuire direttamente all’ANAC un vero e proprio potere di autotutela sostitutiva, non sarebbe sufficiente un intervento correttivo mediante decreto legislativo delegato, ma occorrerebbe una scelta legislativa espressa del Parlamento

Visto tale posizione, in Consiglio dei Ministri è approdato un testo che abroga tout court la disposizione attributiva dei poteri all’ANAC. Il testo è stato approvato negli ultimi giorni utili per apportare modifiche, infatti dopo il 19 aprile il Governo non può più apportare direttamente modifiche al codice dei contratti.

Una prima osservazione, lapalissiana, è che il Consiglio di Stato non aveva chiesto un’abrogazione del comma, ma una sua riformulazione in senso più collaborativo e meno incisivo, anche per rispetto del rapporto Stato-autonomie locali.
Inoltre, è facile usare le stesse parole utilizzate dal Consiglio di Stato a proposito dello strumento del decreto correttivo, che “non può nemmeno costituire una sorta di ‘nuova riforma’, pur rispettosa della delega originaria, che modifichi le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega, attuando un’opzione di intervento radicalmente diversa da quella del decreto legislativo oggetto di correzione “ (cfr. Corte cost. 26 giugno 2001 n. 206; Cons. St., ad. gen., 6 giugno 2007 n. 1; Cons. St., sez. norm., 9 luglio 2007 n. 2660/07; Id., 5 novembre 2007 n. 3838/07; Id., 26 luglio 2011 n. 2602).

Ora è indubbio che nell’esercizio della delega si sono attribuiti poteri forti all’ANAC, e quindi questa scelta, in sede di correttivo, non poteva essere rimessa radicalmente in discussione modificando le scelte di fondo.

Peraltro, il giorno 19 aprile 2017 si è esaurito il potere del Governo derivante dalla legge delega, e ora necessita un’altra legge del Parlamento per correggere il correttivo.

Insomma, sembra che la correzione del correttivo operata “sul filo di lana” abbia creato un gran problema, non di immediata soluzione.
Però, sicuramente, sembra un qualcosa che viene da lontano, tutt’altro che inaspettata.

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