L’assemblea sindacale può essere convocata anche da un singolo componente RSU

Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 13978 del 6 giugno 2017
La società ricorrente ha respinto la richiesta di assemblea per cui è causa perché proveniente da una sola componente della r.s.u.

presente in azienda (ossia da FIOM-CGIL) anziché dalla sua composizione unitaria. Il problema sottoposto all’attenzione delle sezioni unite – se debba riconoscersi il diritto di convocare l’assemblea sindacale di cui all’art. 20 della legge n. 300 del 1970, oltre che alle r.s.u. come organo collegiale, anche alle sue singole componenti – ha ricevuto soluzioni non univoche da parte di questa Suprema Corte. Inizialmente la sentenza n. 2855/2002 ha affermato la natura di organo collegiale delle r.s.u., chiamate a deliberare a maggioranza e in piena autonomia sulle scelte di politica sindacale e di esercizio dei relativi diritti nell’ambito dell’unità produttiva, negando che la sua singola componente (come, nel caso di specie, quella facente capo a FIOM CGIL) possa esercitare autonomamente il potere di indire l’assemblea. Secondo altro orientamento, espresso da Cass. n. 1892/2005, in tema di rappresentatività sindacale l’autonomia collettiva può prevedere organismi di rappresentanza (quali le r.s.u. di cui al cit. accordo interconfederale 20.12.1993) diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 legge n. 300 del 1970 e assegnare loro prerogative sindacali (quali il diritto di indire l’assemblea sindacale) non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a. (sempre con il limite, desumibile dall’art. 17 della stessa legge n. 300, del divieto di riconoscere ad un sindacato un’ingiustificata posizione differenziata che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro). È poi intervenuta la sentenza n. 21909/2009, con cui la Corte ha ritenuto esente da vizi logico-giuridici l’interpretazione dell’accordo interconfederale 20.12.93 fornita dai giudici di merito (il ricorso era stato presentato secondo il testo dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., previgente rispetto alla novella di cui al d.lgs. n. 40 del 2006), secondo la quale esso prevede il subentro dei singoli componenti della r.s.u. nei diritti e nelle prerogative che lo Statuto dei Lavoratori riconosce non alle r.s.a., ma ai loro dirigenti come singole persone, escluso – quindi – il diritto di indire l’assemblea. L’orientamento successivamente espresso da Cass. n. 15437/2014 (subito condiviso da Cass. n. 17458/14), invece, riprendendo Cass. n. 1892/2005, attribuisce il diritto di indire assemblee, di cui all’art. 20 della legge n. 300 del 1970, non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun suo componente purché eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia di fatto munito di rappresentatività ai sensi dell’art. 19 della legge n. 300 citata, quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013. Le SS.UU. hanno risolto il quesito affermando che ben possono convivere il principio di maggioranza con limitate prerogative di singole componenti dell’organismo medesimo. Inoltre, il richiamo dottrinario al principio maggioritario come inscindibile da quello democratico muove, ad avviso di questa Corte Suprema, da una falsa prospettiva. Il principio di maggioranza è sicuramente proprio di quello democratico nel momento decisionale, ma è estraneo al momento del mero esercizio di diritti che non importino decisioni vincolanti nei confronti di altri. Invero, sempre per restare nell’ambito delle libertà sindacali, è sintomatico che, mentre nell’art. 21 legge n. 300 del 1970 si legge che l’indizione di referendum deve essere effettuata «da tutte le rappresentanze sindacali aziendali», nel precedente art. 20, comma 2, la richiesta di assemblea risulta poter essere avanzata «singolarmente o congiuntamente»

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