Corte Costituzionale, sentenza n 147 del 23 giugno 2017
Il legittimo affidamento, presidiato dall’art. 3 Cost., non preclude le modifiche sfavorevoli dei rapporti giuridici, ma esige che tali modifiche non si traducano in una disciplina irragionevole (sentenza n. 216 del 2015).
Con riguardo alla specifica norma censurata, non si ravvisano ragioni apprezzabili, idonee a giustificare la scelta di sacrificare l’affidamento «nel bilanciamento con altri interessi costituzionali» (sentenza n. 525 del 2000) e di incidere, con effetti retroattivi, su situazioni disciplinate da leggi precedenti.
L’esigenza di armonizzazione e di razionalizzazione, illustrata nel corso del dibattito parlamentare, dà conto delle ragioni sottese alla disciplina, ma non implica la necessità di farne retroagire di un mese l’efficacia, pregiudicando un affidamento che, nel caso di specie, appare meritevole di tutela. Difatti, il lavoratore ha compiuto le sue scelte, volte a tutelare nella maniera più incisiva i diritti previdenziali, sulla scorta di una valutazione che il nuovo quadro normativo ha alterato in maniera repentina e radicale.
L’esigenza di garantire la tutela del legittimo affidamento non può che arrestarsi nel momento a partire dal quale le disposizioni della legge 30 luglio 2010, n. 122 (pubblicate nel supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 176 del 30 luglio 2010) sono entrate in vigore.
A partire da tale momento, che l’art. 1, comma 3, della legge n. 122 del 2010 individua nel 31 luglio 2010, il legislatore è abilitato a dettare disposizioni atte a modificare sfavorevolmente la disciplina in vigore. Entro tale termine va limitata la dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata (sentenza n. 416 del 1999, punto 6.2. del Considerato in diritto).
Alla luce delle considerazioni svolte, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza e della tutela del legittimo affidamento.