Corte di Cassazione, sentenza n. 16835 del 7 luglio 2017
La Corte territoriale ha messo in evidenza che la lavoratrice non aveva dedotto nessuna prova sulla totale carenza di mezzi pubblici lunga la stessa tratta;
sulla possibilità o meno di deviazioni dal percorso abituale casa lavoro; sull’impossibilità di fruire di corse con fermate intermedie poste ai margini della tratta interessata dai suddetti lavori (lunga circa 700 metri, come addotto dall’INAIL e non contrastato ex adverso, quindi agevolmente percorribile a piedi da persona non anziana ed in buone condizioni); così come, nessuna prova era stata dedotta circa le specifiche necessità domestiche o familiari che imponessero il sollecito rientro presso l’abitazione.
Alla luce di tali considerazioni, la decisione si rivela quindi corretta sul piano logico e giuridico e si sottrae alle censure sollevate nel ricorso, atteso che chi domanda il , riconoscimento dell’infortunio in itinere è tenuto a dare prova dell’uso necessitato (per un caso analogo, v. Cass. 28 novembre 2001, n. 15068 che ha escluso l’infortunio in itinere in una fattispecie in cui una lavoratrice in giovane età, che non aveva addotto particolari esigenze familiari, poteva coprire il tragitto dall’abitazione al luogo di lavoro agevolmente, sia all’andata che al ritorno, in parte mediante l’uso di un frequente mezzo pubblico ed in parte, per circa un km., a piedi).
La stessa prova non può ritenersi assolta per intero attraverso l’uso di generiche presunzioni (ritenendo cioè, come pure si sostiene in ricorso, in re ipsa l’esigenza di poter dedicare il massimo di tempo libero ai più svariati bisogni della vita di ciascuno e di migliorare così “la qualità della vita”); né attraverso la sollecitazione dei poteri di ufficio in quanto si tratta di poteri discrezionali, che postulano l’esistenza di piste probatorie.