Gli atti di conferimento di incarichi sono soggetti a criteri di correttezza e buona fede, per cui devono prevedere la valutazione comparativa

Corte di Cassazione, sentenza n. 26694 del 11 novembre 2017

E’ consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte il principio secondo cui « in tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. Tali norme…. obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l’Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile.» ( Cass. 12.10.2010 n. 21088) 3.1. che questa Corte ha anche precisato che non vanno confusi il diritto soggettivo al conferimento dell’incarico e l’interesse legittimo di diritto privato correlato all’obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buona andamento consacrati nell’art. 97 Cost., sicché il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l’attribuzione dell’incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all’inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministrazione ( Cass. 23.9.2013 n.21700; Cass. 14.4.2015 n. 7495; Cass. 24.9.2015 n. 18972); 4. che pertanto la sentenza impugnata ha correttamente disatteso la tesi, riproposta anche in questa sede dalla difesa di Roma Capitale, della non necessità della valutazione comparativa e della assoluta discrezionalità della scelta; 5. che quanto alla sussistenza ed alla liquidazione del danno la Corte territoriale ha condiviso le argomentazioni contenute nella sentenza del Tribunale, che, come si evince dalla trascrizione contenuta nel ricorso, aveva fatto ricorso alla liquidazione equitativa, considerando, da un lato, la vasta esperienza professionale del Tempesta ed il cospicuo numero di incarichi conferiti senza valutazione comparativa, dall’altro che il dirigente non poteva essere certo del conferimento anche in caso di corretto adempimento degli obblighi contrattuali, per cui il grado di probabilità doveva essere quantificato nella misura del 60% ed allo stesso doveva essere commisurato il risarcimento; che a fronte di domanda di risarcimento del danno da perdita di chance il giudice del merito è chiamato ad effettuare una valutazione che si svolge su due diversi piani in quanto occorre innanzitutto che, sulla base di elementi offerti dal lavoratore, venga ritenuta sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell’esito positivo della selezione e solo qualora detto accertamento si concluda in termini positivi vi potrà essere spazio per la valutazione equitativa del danno, da effettuare in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito; 5.2. che in tal modo non viene risarcito un danno probabile in quanto « il danno è certo quanto all’an debeatur perché certo è l’inadempimento di un’obbligazione strumentale da parte del datore di lavoro (quella di effettuare la scelta secondo un determinato criterio e comunque secondo correttezza e buona fede), obbligazione che ha un contenuto patrimoniale. Il criterio probabilistico gioca solo sul piano della quantificazione del danno nel più generale ambito della liquidazione equitativa» (Cass. n.5119 del 2010).

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