Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Regione Molise, deliberazione n. 192/2017/VSG
Già con precedenti delibere (cfr., da ultimo delib. n. 67/2017), la Sezione della Corte dei Conti del Molise aveva invitato gli Enti destinatari ad attenersi, nell’affidamento degli incarichi esterni, al quadro normativo di riferimento e ai parametri enucleati dalla giurisprudenza contabile.
In particolare, la Sezione ha richiamato le norme che disciplinano la materia, rappresentate, in primo luogo, dall’art.110, comma 6, del T.U. n.267/2000 per gli enti locali, e dall’art.7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, per la generalità delle Pubbliche Amministrazioni.
Il regime delle collaborazioni esterne è stato ulteriormente definito dall’articolo 1, commi 11 e 42, della Legge 30 dicembre 2004, n.311 (legge finanziaria 2005), da diverse disposizioni (art.3, commi da 54 a 57) della Legge 24 dicembre 2007, n.244 (legge finanziaria per l’anno 2008), dal Decreto Legge 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2008, n.133, dall’art.17, comma 30, del Decreto Legge 1° luglio 2009, n.78, convertito con Legge del 3 agosto 2009, n.102, nonché dagli artt.6 commi 7, 8, 9, e 20 e 9, comma 28, del Decreto Legge 31.05.2010, n. 78, convertito con Legge del 30 luglio 2010, n.122.
Da ultimo, il decreto l.gs. 75 del 25 maggio 2017, recante modifiche e integrazioni al d.l.gs. 165/2001, ha rivisitato anche le disposizioni inerenti “il personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile” (art. 36 del d.lgs. 165/2001), nonché quelle concernenti i contratti di lavoro autonomo (art. 7, d.l.gs.165/2001, “gestione delle risorse umane”).
In via preliminare, va osservato che, sul fronte delle tipologie del lavoro flessibile il comma secondo del rinnovato art. 36 del d.lgs. 165/2001, oltre a prevedere esplicitamente i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, i contratti di formazione e lavoro ed i contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, opera un generico riferimento all’utilizzo di “altre forme flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche”, con il limite funzionale delle “comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporanee ed eccezionali e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall’art. 35”.
Sul versante dei contratti di lavoro autonomo, che sono quelli che più interessano in questa sede, va invece segnalata l’introduzione del comma 5 bis all’articolo 7 del d.lgs. 165/2001, con l’espressa previsione del divieto, a decorrere dal primo gennaio 2018, (art. 22, comma 8, dello stesso decreto) “per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Lo stesso comma prevede che i contratti posti in essere in violazione di tale disposizione sono nulli e determinano responsabilità erariale. Resta ferma la possibilità di conferire incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo, alle sole condizioni ed in presenza dei presupposti di legittimità espressamente elencati dal comma 6 dello stesso articolo 7.
Da un punto di vista generale, dunque, la ratio comune alla totalità degli interventi normativi richiamati deve essere certamente individuata nella tendenza a limitare il ricorso alle tipologie contrattuali ivi disciplinate ad ipotesi del tutto eccezionali.
In una fase preliminare al conferimento dell’incarico (la cui prestazione deve avere un oggetto definito, circoscritto e determinato), l’amministrazione deve, infatti, avere accertato l’oggettiva impossibilità di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno.
Ulteriore conferma del principio sopra enucleato è rappresentata dall’art. 6 comma 7 del D.L. n.78/2010, convertito con modificazioni nella L. n. 122/2010, secondo cui “al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza ….(omissis)…. non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009”.
Con precipuo riferimento a quest’ultima norma è bene rammentare che la stessa trova espressa applicazione anche per gli enti locali in virtù del richiamo -ivi operato- agli enti di cui all’art.1, comma 3, della legge 196/2009 (fatte salve le disposizioni di cui al D.L. n. 50 del 24.04.2017).
In ogni caso (ancor prima dell’intervento normativo disposto con d.l.gs. 75/2017), pur se la difformità fra la terminologia utilizzata nelle due norme finanziarie che si erano succedute (art.46 del D.L. 112/2008, convertito con la legge 6 agosto 2008, n.133 ed art.6, comma 7, del d. l. 78/2010, convertito in legge 30 luglio 2010, n.122), poteva essere superata in virtù di un’interpretazione sistematica proiettata ad un’equivalenza giuridica dei termini utilizzati (“collaborazioni autonome” nella disposizione della legge finanziaria per il triennio 2011 – 2013) ed al medesimo ambito oggettivo di materia, si riteneva che l’obbligo di riduzione della spesa nei limiti delle percentuali prescritte dovesse essere esclusivamente riferito alle ipotesi di studi e consulenze strettamente intese, e non estesa a tutti gli incarichi individuali conferiti ai sensi dell’art.7, comma 6 e seguenti, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n.165 (Corte Conti Sezione Lombardia n.6/2011/PAR).
In effetti, con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative, oltreché ai contratti a tempo determinato, trovava applicazione l’art.9, comma 28 del D.L. 31.05.2010, n.78 il quale prevede che “le Pubbliche amministrazioni possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009..”.
Parziale deroga a quanto disposto dal comma citato è rappresentato dall’articolo 1, comma 542 della legge n. 208/2015, (legge di stabilità 2016) che prevede che “Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani di cui al comma 541, lettera b), nel periodo dal 1º gennaio 2016 al 31 luglio 2016, le regioni e le province autonome, previa attuazione delle modalità organizzative del personale al fine di garantire il rispetto delle disposizioni dell’Unione europea in materia di articolazione dell’orario di lavoro, qualora si evidenzino criticità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere, in deroga a quanto previsto dall’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, a forme di lavoro flessibile, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia sanitaria, ivi comprese quelle relative al contenimento del costo del personale e in materia di piani di rientro. Se al termine del medesimo periodo temporale permangono le predette condizioni di criticità, i contratti di lavoro stipulati ai sensi del precedente periodo possono essere prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016. Del ricorso a tali forme di lavoro flessibile nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia sanitaria, ivi comprese quelle relative al contenimento del costo del personale e in materia di piani di rientro, è data tempestiva comunicazione ai Ministeri della salute e dell’economia e delle finanze”.
Tale previsione è ribadita anche dal successivo comma 543, articolo 1, della stessa legge, come modificato dall’art. 1, comma 10, del D.L. n. 244 del 30 dicembre 2016, laddove si stabilisce che, nelle more della conclusione delle procedure di cui al primo periodo dello stesso comma, in deroga a quanto previsto dal D.P.C.M. 6 marzo 2015, gli enti del Servizio Sanitario Nazionale continuano ad avvalersi del personale di cui al primo periodo dello stesso comma e sono autorizzati anche a stipulare nuovi contratti di lavoro flessibile esclusivamente ai sensi del comma 542, fino al termine massimo del 31 ottobre 2017 .
I limiti per il ricorso agli incarichi per studi e consulenza sono stati ulteriormente irrigiditi, per effetto dell’art. 1, comma 5 del D.L. n.101/2013, come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, prevedendo che “…La spesa annua per studi e incarichi di consulenza, …(omissis) non può essere superiore, per l’anno 2014, all’80 per cento del limite di spesa per l’anno 2013 e, per l’anno 2015, al 75 per cento dell’anno 2014….”.
Giova inoltre richiamare l’attenzione su due precipue ipotesi di responsabilità sanzionatoria, specificamente previste dall’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 6 del citato D.L. n.78/2010 e dal richiamato comma 28 dell’art. 9 del medesimo decreto, in base alle quali l’affidamento di incarichi (di consulenza, di collaborazione e/o di lavoro subordinato a tempo determinato) che comportino un eccesso di spesa rispetto a quella consentita (20% o 50% rispetto a quella del 2009) costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.
Il richiamato art. 1 del D.L. n. 101/2013 ha inoltre introdotto un’ulteriore forma di responsabilità prevedendo, al comma 7, con riferimento agli incarichi per studi e consulenze, che: “Gli atti adottati in violazione delle disposizioni di cui al comma 5 e i relativi contratti sono nulli. L’affidamento di incarichi in violazione delle disposizioni di cui al medesimo comma costituisce illecito disciplinare ed è, altresì, punito con una sanzione amministrativa pecuniaria, a carico del responsabile della violazione, da mille a cinquemila euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità amministrativa competente in base a quanto previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, salva l’azione di
responsabilità amministrativa per danno erariale”.
Altra ipotesi di responsabilità sanzionatoria è poi stata introdotta dall’art. 4, comma 1, lett. b) del D.L. n. 101/2013 che ha, di fatto, previsto due ipotesi di nullità e di responsabilità erariale in caso di violazione delle disposizioni sul ricorso al contratto tipico di lavoro subordinato a tempo determinato e sui limiti e le condizioni per l’attribuzione degli incarichi di collaborazione.
Infine, altra modifica alla disciplina relativa al conferimento degli incarichi di studio e consulenza è stata disposta dall’art. 14 del D.L. 66/2014 il quale ha previsto anche per gli enti locali, a decorrere dall’anno 2014 , un ulteriore limite di spesa rapportato non più a quella precedentemente sostenuta per la medesima ragione, bensì alla spesa per il personale dell’ente che conferisce l’incarico (1,4% se la spesa del personale è superiore a 5 milioni di euro, 4,2% se la spesa è pari o inferiore).
Appare necessario evidenziare che, mentre l’art.6, co.7, del D.L.78/2010 e l’art.1, co.5, del D.L. 101/2013 riguardano “la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza” (senza comprendere, quindi, gli incarichi di ricerca), l’art.14 del D.L.66/2014 si riferisce invece agli “incarichi di consulenza, studio e ricerca”. Si tratta di una osservazione non irrilevante: nel caso in cui l’incarico non sia sussumibile nelle due categorie degli incarichi per studi e consulenza (ad esempio perché riconducibile nell’ambito degli incarichi di ricerca) non si applicano i limiti previsti in materia dal D.L.78/2010 e dal D.L.101/2013. Appare infatti preferibile, anche in virtù del rigoroso apparato sanzionatorio previsto dalle due norme citate, la valorizzazione di una interpretazione letterale (cfr., da ultimo Sez. Puglia n.131/2014/PAR).
Il secondo comma dell’art.14 del D.L. n. 66/2014 estende lo stesso principio anche alle collaborazioni coordinate e continuative, prevedendo il divieto di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa quando la spesa complessiva per tali contratti è superiore rispetto alla spesa del personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,1% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro.
Di particolare rilievo appaiono anche le modifiche introdotte dal comma 147 dell’art. 1 della L. n. 228 del 24.12.2012 ed, in ultimo, dall’articolo 5 del d.lgs. n. 75 del 25 maggio 2017, all’art. 7, commi 5 bis e ss. del D.Lgs. n.165/2001 il cui testo, dianzi citato, chiarisce in maniera ancor più esplicita il carattere assolutamente temporaneo e straordinario del ricorso al lavoro autonomo nelle Pubbliche amministrazioni.
Nel solco del contrasto al precariato ed all’esplicito favor del Legislatore nei confronti del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, si pongono poi le ulteriori disposizioni di cui decreto legislativo n. 75/2017 che hanno interessato l’art.36 del D.Lgs. n.165/2001, accentuando ancor più il carattere generale della regola del ricorso al tempo indeterminato per l’approvvigionamento di personale nella Pubblica amministrazione, circoscrivendo le ipotesi derogatorie a tale principio e limitandole al soddisfacimento di “comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”. Inoltre si reintroduce per la pubblica amministrazione la possibilità per le P.A. di ricorrere alle procedure di stabilizzazione come sistema di contrasto al precariato esistente (art. 20 del d.l.gs. n. 75/2017).
Deve essere ancora segnalato il divieto per le pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e di consulenza, se non a titolo gratuito, a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza (art. 5, comma 9, primo periodo del D.L. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012, modificato dalle disposizioni successive).
In ossequio poi al principio della trasparenza è fatto obbligo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare ed aggiornare tutte le informazioni relative ai titolari di incarichi di collaborazione o consulenza (art. 15 del decreto legislativo n. 33 del 14.03.2013, così come revisionato dal d.lgs. n. 97 del 25 maggio 2016).
Da ultimo, va rammentato quanto prescritto dal comma 420 dell’art.1 della legge n.190 del 23 dicembre 2014, che prevede il divieto, per le province delle Regioni a statuto ordinario, tra l’altro, di effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza (lett. d)… e di attribuire incarichi di studio e consulenza (lett. g)”.
Sul versante sanitario, inoltre, si segnala il D.P.C.M 6 marzo 2015 recante “Disciplina delle procedure concorsuali riservate per l’assunzione di personale precario nel comparto Sanità”, con le deroghe apportate allo stesso dalla legge n. 208/2015.