TAR Campania, sentenza n. 4545 del 28 settembre 2017
La dichiarazione dei redditi alla stregua di quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sent. n. 8839/2014) e dalla Commissione per l’accesso ai documenti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nella deliberazione assunta nel Plenum del 07.10.2008, non può, a priori, escludersi dal novero degli atti accessibili, come al contrario ritenuto dall’Agenzia delle Entrate.
La tutela della riservatezza, generalmente garantita dalla normativa mediante una limitazione del diritto di accesso, deve recedere quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti ovviamente in cui esso è effettivamente necessario alla difesa di quell’interesse (cfr., in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2005 n. 504).
L’istante ha un interesse diretto, concreto, attuale ad avere copia di quanto richiesto per poter procedere alla tutela dei propri diritti di credito, sicché, nei casi in cui venga presentata richiesta di accesso documentale motivata con riferimento alla necessità di tutelare i propri diritti nelle competenti sedi giudiziarie, l’accesso non può essere denegato, neanche se non sia certo che, successivamente, tali atti siano effettivamente utilizzabili ai fini della proposizione di eventuali domande giudiziali. In sostanza, sebbene debba esistere un rapporto di strumentalità tra la conoscenza del documento (mezzo per la difesa degli interessi) e il fine (effettiva tutela della situazione giuridicamente rilevante della quale il richiedente è portatore), tale rapporto ben sussiste anche con riferimento ad un documento che può manifestarsi solo potenzialmente utile per confortare assunti difensivi in un giudizio, trattandosi di un impiego dell’atto che è oggettivamente connesso all’esercizio di difesa tutelato dal principio generale di cui all’art. 24 Cost. (Cons. Stato, Ad. pl., 24 giugno 1999, n. 16);
Va inoltre aggiunto che le dichiarazioni dei redditi, di regola non contengono “dati sensibili” (cfr. art. 4, lett. d) D.Lgs. n. 196/2003), ma prevalentemente dati contabili-reddituali, che sono pertanto da ritenersi accessibili ove il richiedente adduca l’esigenza di difendere i propri diritti; esigenza che è, comunque, da considerare di pari rango – e, pertanto, prevalente – rispetto al diritto alla riservatezza della persona cui si riferiscono i dati richiesti.
Va considerato, inoltre, che l’art. 59 del D.Lgs. 196/2003 (c.d. Codice privacy), opera un generale rinvio al diritto di accesso disciplinato dalla L. n. 241/1990 anche per ciò che riguarda documenti contenenti “dati sensibili”, tanto è vero che lo stesso Codice, all’art. 60, detta una particolare disciplina per l’accesso ai c.d. dati supersensibili, e che l’art. 24 comma 7 L. 7 agosto 1990 n. 241, come modificato dalla L. 11 febbraio 2005 n. 15, non esclude in modo totale l’accesso ai documenti neppure a fronte di dati sensibili e sensibilissimi. Va opportunamente precisato che nel caso in cui nei documenti oggetto di ostensione siano contenuti dati sensibili, in quanto relativi alla salute o alla vita personale dei controinteressati o di terzi, la relativa tutela può essere salvaguardata (argomentando dal combinato disposto dell’art. 24 L. 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 60 D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196) attraverso tecniche di mascheramento riguardanti i dati relativi ai terzi, ovvero oscurando i dati supersensibili se riferiti direttamente ai controinteressati.
Dalle considerazioni che precedono consegue che, per un verso, l’accesso alla dichiarazione dei redditi di soggetti terzi deve intendersi, sì, ammesso, ma nei limiti in cui sia “strettamente necessario” (ex art. 24 L. n. 241/1990) a soddisfare l’interesse giuridicamente rilevante addotto dalla parte istante; e, per altro verso, tale rapporto di stretta utilità non può non essere valutato dalla Pubblica Amministrazione, e così anche dal Giudice amministrativo, ove questi sia adito a fronte del diniego opposto dalla prima.