Iperprescrizione di farmaci: la prova del danno erariale del medico deve essere rigorosa e non può essere invertito l’onere della prova

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, sentenza n. 2 dell’11 gennaio 2018

La Procura contabile contestava una condotta illecita che sarebbe consistita nel ripetuto scostamento dalle quantità di farmaci prescritte dagli altri sanitari della stessa ASL (iperprescrizione in senso lato) e nel superamento del quantitativo di farmaco assumibile dall’assistito in un determinato periodo di tempo, risultante dalle indicazioni fornite dalla casa farmaceutica e approvate dal Ministero della sanità o nell’aver prescritto un farmaco secondo modalità (per quantità o qualità) di assunzione difformi da quelle previste nelle schede ministeriali o nelle note CUF(iperprescrizione in senso stretto).
La normativa invocata è quella dettata dall’art.1, comma 4, del decreto legge 20 giugno 1996, n. 323 convertito in l. 8 agosto 1996, n. 425, secondo cui “il medico è tenuto a rimborsare al Servizio Sanitario Nazionale il farmaco indebitamente prescritto”..
La presente fattispecie rientra in una tipologia già esaminata più volte da questa Sezione (cfr. sentenze n. 9/2010, 404/2010, 374/2011, 726/2011, 84/2016, 64/2016, 160/2017) che ha espresso un orientamento giurisprudenziale che, nelle sue linee generali, va condiviso da questo Collegio.
Ritiene il Collegio che il criterio astratto del danno da “iperprescrizione in senso lato” derivante dal mero superamento di medie ponderate, non può essere seguito nel giudizio di responsabilità amministrativa, non tanto per l’inattendibilità tecnica del criterio o per la carenza di rigore scientifico, quanto per la sua astrattezza, incompatibile con la valutazione di una attività incontestatamente discrezionale, quale quella medica, ed alla luce del fondamentale principio dell’onere della prova (attoreo) della responsabilità amministrativo-contabile, di natura personale, derivante da comportamenti dannosi storicamente certi e provati, caso per caso, secondo un riscontrato nesso etiologico-causale, non desumibile statisticamente.
Con riguardo, poi, all’iperprescrizione” in senso stretto, si legge nell’atto di citazione di un’ulteriore indagine finalizzata ad evidenziare la sussistenza o meno di una casistica a campione di prescrizioni ‘inappropriate’.
Ora, il fondamento della domanda attrice è che tali prescrizioni, definitivamente ritenute incongrue, siano state effettuate al di fuori dei casi contemplati nella nota CUF di riferimento e, dunque, in violazione dell’art.1, comma 4, D.L. n. 323/1996 cit. con il conseguente obbligo, dallo stesso articolo previsto, di rimborsare al Servizio sanitario nazionale il farmaco indebitamente prescritto.
Nel caso di specie, tuttavia, di tale indebita prescrizione, le prove si fondano sulla non sufficienza della documentazione prodotta dal sanitario, con l’ulteriore aberrante effetto di ascrivere in capo a quest’ultimo, un’ipotesi di responsabilità amministrativa ove, anche in ragione del notevole tempo trascorso (i fatti contestati risalgono al 2002-2004) ed in assenza di un obbligo legale di conservare copia di prescrizioni e referti di medici specialisti, non fosse riuscito a provare la patologia sofferta dal paziente cui si riferisce la prescrizione contestata.
Per quanto sopra esposto, il Collegio deve rilevare che la domanda attrice risulta sfornita di prova della condotta antigiuridica.

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