Sono legittime le clausole di salvaguardia (per il rispetto dei tetti di spesa) imposte ai soggetti accreditati

Consiglio di Stato, sentenza n. 138 del 11 gennaio 2018

In base alla vigente normativa, i rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e le strutture private accreditate sono regolati (si veda sul punto, per questa Sezione: 3/02/2016, n. 436) secondo uno schema bifasico articolato su:
– una fase, programmatica ed unilaterale, affidata alla Regione;
– una fase contrattuale con le singole strutture, affidata alla Regione ed alle A.U.S.L., in assenza della quale le Aziende e gli Enti del Servizio sanitario nazionale non sono tenuti a corrispondere la remunerazione per le prestazioni erogate.
Al riguardo della prima fase, la giurisprudenza della Sezione è consolidata (cfr. da ultimo: 3/03/2017, n. 994; nn. 5371 e 1244 del 2016) nel senso che spetta alle Regioni provvedere, con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione – in via “unilaterale”- del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e distribuire le risorse disponibili, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché stabilire i preventivi annuali delle prestazioni: e ciò nel rigoroso rispetto della complessa finalità di riequilibrio finanziario cui è ispirata la legislazione vigente (così le sentenze 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4 dell’Adunanza plenaria).
Il peso di tale finalità si accentua, poi, nelle Regioni (come il Piemonte) che devono ulteriormente assicurare il rispetto di un concordato Piano di rientro finanziario.
Tale quadro generale condiziona anche la fase contrattuale successiva, a tal punto che è la stessa logica stringente del tetto di spesa fissato in via prioritaria e unilaterale “ad annullare gli spazi riservati alle procedure contrattuali” (cfr. la pronuncia di questa Sezione 2 aprile 2014, n. 1582): tant’è che altra decisione della Sezione (richiamando l’Adunanza Plenaria n. 3/2012) ha precisato che il c. d. “tetto di spesa” (o budget) non acquista la sua efficacia imperativa in quanto inserito negli accordi contrattuali fra l’ente sanitario e l’operatore privato, bensì in forza del carattere autoritativo della programmazione della spesa, che gli enti del servizio sanitario nazionale hanno il potere-dovere di fare annualmente (19/07/2016, n. 3201).
La Sezione ha già riconosciuto anche la piena legittimità della c.d. clausola di salvaguardia (ovvero: accettazione incondizionata, da parte degli operatori privati, dei tetti di spesa e rinuncia a eventuali impugnazioni dei relativi provvedimenti di determinazione) presente in numerosi schemi-tipo di contratto ex art. 8 quinquies, predisposti da diverse Regioni soggette a Piano di rientro, e riprodotta anche all’art. 9 del contratto sottoscritto: la ragione addotta dalla sentenza 1.2.2017 n. 430 è che agli operatori privati – in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l’essenziale interesse pubblico alla corretta ed appropriata fornitura del primario servizio della salute – non possono considerarsi estranei ai vincoli oggettivi e agli stati di necessità conseguenti al Piano di rientro, al cui rispetto la Regione è obbligata.
Le argomentazioni così espresse in sede di merito sono completate da una articolata pronuncia resa in sede cautelare sempre dalla Sez. III (n. 906 del 2015, richiamata anche dalla Regione)
La legittimità delle clausole di salvaguardia è stata successivamente confermata dalla giurisprudenza cautelare della Sezione (cfr. n. 566/2017, n. 428/2017, n. 430/2017 e nn. 335, 336 e 337/2017).

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