Corte di Cassazione, sentenza n. 8373 del 04 aprile 2018
Orbene, la disposizione dell’art. 2 dello Statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria riservata dall’art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori e giustificano l’intervento in questione non solo per l’avvenuta prospettazione di illeciti e per l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (cfr. Cass. 14.2.2011 n. 3590); inoltre, il suddetto intervento deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero adempimento dell’obbligazione (Cass. 7.6.2003 n. 9167). Le garanzie degli artt. 2 e 3 citati operano, infatti, esclusivamente con riferimento all’esecuzione della attività lavorativa in senso stretto, non estendendosi, invece, agli eventuali comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione che possono essere liberamente accertati dal personale di vigilanza o da terzi.
Orbene, nella fattispecie il convincimento della Corte territoriale si è basato sull’esito di un’attività investigativa, oggetto anche di prova testimoniale degli investigatori, rientrante nei poteri di controllo datoriale, in quanto esercitata in luoghi pubblici, onde è stato accertato, per 10 giorni, non solo il mancato rispetto dell’orario giornaliero di lavoro ma anche che, in orario di lavoro, al di fuori dell’ufficio, il dipendente non aveva svolto alcuna attività lavorativa.
Il potere dell’imprenditore di controllare direttamente o indirettamente l’adempimento delle prestazioni lavorative, nei limiti sopra evidenziati, non è escluso dalle modalità di controllo che può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all’art. 4 della legge n. 300/1970 riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza (in termini cfr. Cass. 10.7.2009 n. 16196).