Le intercettazioni disposte per un reato, possono essere utilizzate per un altro reato, purchè le notitiae criminis abbiano origine nell’ambito di un unico procedimento

Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 15288 dep. 5 aprile 2018

Nell’ambito delle intercettazioni, autorizzate in quel procedimento, è stata captata, in data 26 maggio 2015, una conversazione telefonica — tra il X e Y, assessori entrambi del Comune di Z — nel corso della quale il secondo comunicava al primo di non riuscire a partecipare alla seduta di giunta indetta per quella giornata, in quanto fuori sede, precisando: “volendo se serve mi puoi mette’ presente che non ho problemi”. Il sistema di positioning relativo all’utenza dalla quale il Y aveva effettuato quella telefonata consentiva di localizzarlo lontano dal Comune per l’intera durata della seduta. A seduta conclusa, X ricontattava Y, invitandolo a recarsi dal Segretario generale del Comune, per apporre la propria sottoscrizione al verbale di seduta, nella sua qualità di assessore anziano. Sulla scorta di tali elementi il Pubblico Ministero ordinava l’iscrizione del reato di cui all’art. 479 cod. pen. nel predetto procedimento n. 799/15 RGNR, quindi disponeva la separazione del procedimento relativo a tale ipotesi di reato cui veniva assegnato il numero di 5100/15 RGNR, procedimento oggetto della pronuncia ex art. 425 cod. proc. pen.
La declaratoria di inutilizzabilità, compiuta dal giudice dell’udienza preliminare, è errata.
Invero, secondo i recenti ma ormai consolidati approdi della giurisprudenza di legittimità, il giudice, ai fini della corretta applicazione dell’art. 270 cod. proc. pen., ancor prima di valutare se sussistano profili di connessione tra le diverse vicende criminose, deve stabilire se l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni riguardi lo stesso o distinti procedimenti. La medesima giurisprudenza ravvisa l’esistenza di uno stesso procedimento nel caso in cui, in occasione delle intercettazioni svolte, vengano captate conversazioni rilevanti per un’altra ipotesi di reato fino a quel momento sconosciuta agli inquirenti (tra le altre Sez. 5, n. 45535 del 16/3/2016, Danniani, Rv. 268453; Sez. 6, n. 21740 del 01/03/2016, Masciotta, Rv. 266921; Sez. 6, n. 6702 del 16/12/2014 dep. 2015, La Volla, Rv. 262496; Sez. 1 n. 2930 del 17/12/2002, Semeraro, Rv. 223170). E ciò indipendentemente dalla circostanza che quel delitto sia connesso o meno con i reati per i quali sono state disposte le intercettazioni. Il punto è illustrato, in maniera perspicua, nella sentenza n. 6702 del 16/12/2014: «È evidente, infatti, che ove le notitiae criminis riferite alle diverse figure di reato abbiano origine nell’ambito dello stesso procedimento, ancorché diano luogo a distinte iscrizioni nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. ed alla germinazione di altri procedimenti, il richiamo all’art. 270 cod. proc. pen. è fuorviante. La ratio della previsione contenuta al comma 1 di tale articolo è, infatti, quella di evitare l’utilizzazione circolare dei risultati delle operazioni captazione, in violazione dei presupposti di ammissibilità cui agli artt. 266 e 266 bis cod. proc. pen. Ma una volta verificatane la sussistenza per le varie figure di reato cui esse sono riferite – come nel caso di specie – la circostanza che dall’originario abbiano origine plurimi procedimenti non esplica alcuna rilevanza, dal momento che quello che la legge intende impedire è il trasferimento dei risultati delle operazioni tecniche dall’uno all’altro procedimento, i quali abbiano avuto autonoma e distinta origine» (Sez. 6, n. 6702 del 16/12/2014 dep. 2015, La Volla, in motivazione).

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