Corte dei Conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale, sentenza n. 242 del 12 aprile 2018
Non v’è dubbio, quindi, che l’espletamento di detta attività in assenza di titolo autorizzativo integri una condotta contraria al dettato normativo, ma per l’imputazione del fatto antigiuridico così delineato, occorre, come noto, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, in difetto del quale non è configurabile la responsabilità amministrativa dell’agente.
Incontestata, quindi, l’antigiuridicità della condotta siccome evidenziata in sentenza e condivisa dal Collegio alla luce dal quadro normativo di riferimento, il primo giudice ha escluso la ricorrenza in fattispecie della colpa grave (e, a fortiori, del dolo contestato) atteso che il comportamento univocamente concludente dell’Amministrazione, quale esternatosi in circostanze obiettive, fattuali e documentali, ha ingenerato nell’agente l’incolpevole affidamento di agire in modo regolare.
L’impugnata sentenza, quindi, non è affetta da alcuna contraddizione sul punto, atteso che, per addivenire ad una pronuncia di condanna, occorre la compresenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, situazione non ravvisabile in fattispecie.
Ed invero, appaiono dirimenti ed univocamente deponenti per l’assenza di colpa grave le seguenti circostanze:
– l’effettivo incameramento da parte dell’Azienda degli introiti ALPI, regolarmente riscossi e versati dal medico tramite gli appositi bollettari messi a sua disposizione dall’Ente;
– il riversamento in busta paga da parte dell’Azienda al sanitario di una percentuale dei suddetti compensi ALPI, assimilati a reddito professionale dipendente;
– l’assenza di contestazioni formali, di addebiti nonché di misure inibitorie da parte dell’ASP per aver il sanitario esercitato “di fatto” attività intramurale allargata nonché per aver utilizzato i bollettari e per la tariffa praticata;
– la documentazione proveniente dalla stessa Amministrazione sanitaria, attestante inequivocabilmente la piena conoscenza e consapevolezza della situazione di fatto venutasi a creare in conseguenza dello stato di “generale disorganizzazione” del settore e della tardiva costituzione dell’apposito ufficio preposto all’istruttoria del procedimento autorizzatorio e al rilascio del provvedimento finale.
Alla stregua delle suindicate circostanze, ritiene il Collegio che, nel peculiare contesto gestionale ed operativo quale era quello vigente nell’ASP di Catanzaro all’epoca dei fatti di causa, l’interessato si è uniformato al modus operandi indicato dall’Azienda, ritirando i bollettari da essa stessa messi a disposizione e versando regolarmente gli introiti ALPI con le modalità indicate.
A tale riguardo, infatti, appare estremamente significativa la nota del Direttore Sanitario dell’ASL 7 di Catanzaro n. 4221 del 19.9.2000 (avente ad oggetto “Attività intramoenia dei dirigenti sanitari”) con cui si invitavano i responsabili dei dipartimenti e dei distretti sanitari di base “in attesa della regolamentazione inerente l’oggetto”, a “comunicare agli interessati che presso il servizio finanziario dell’Azienda, sono a disposizione i bollettari per il rilascio delle ricevute dell’avvenuta prestazione, onde poter effettuare da parte della stessa, gli opportuni adempimenti di legge”.
Conclusivamente, dalle risultanze di causa emerge chiaramente che l’Azienda sanitaria era perfettamente a conoscenza dell’intramoenia allargata, svolta “di fatto”, atteso che ne percepiva i compensi, riversandoli poi in busta paga al medico nella percentuale spettante, così obiettivamente ingenerando nell’interessato il convincimento incolpevole di non agire contra legem, avvalorato altresì, proprio dalla mancata decurtazione in busta paga delle voci retributive legate all’esclusività della prestazione, decurtazione mai disposta dall’azienda sanitaria che non è provato fosse nell’impossibilità materiale e giuridica di avvedersene, nonostante la disorganizzazione gestionale in cui versava l’ufficio ALPI.