Non si può recuperare il maggior valore indebitamente attribuito ai buoni pasto

Consiglio di Stato, sentenza n. 2115 del 5 aprile 2018

L’Amministrazione è tenuta a ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti, ma la ripetizione dell’indebito deve essere valutata tenendo conto: dell’imputabilità alla sola Amministrazione dell’errore originario, del lungo lasso di tempo tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, della tenuità delle somme corrisposte anche in riferimento ai servizi resi, della eventuale complessità della macchina burocratica dalla quale è scaturito l’errore di conteggio.
L’Amministrazione non può recuperare il maggior valore indebitamente attribuito ai buoni pasto erogati ai propri dipendenti, trattandosi di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, a fronte dei quali non è configurabile una pretesa restitutoria, per equivalente monetario (2). 
Infatti ha ricordato la Sezione che a) l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, ad esempio a seguito di annullamento (Cons. St., sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5010); b) il recupero delle somme erogate e non dovute costituisce il risultato di attività amministrativa di verifica e di controllo, priva di valenza provvedimentale;  c) in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente (sulla “autoevidenza” delle ragioni che impongono l’esercizio dell’autotutela, a protezione di interessi sensibili dell’Amministrazione, Cons. St., A.P., 17 ottobre 2017, n. 8); d) si tratta, dunque, di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facoltà di agire e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale; e) il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore; f) l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero, nel senso che l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (Cons. St., sez. III, 12 settembre 2013, n. 4519; id., sez. V, 30 settembre 2013, n. 4849);  g) rimane recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell’affidamento maturato in capo agli interessati (Cons. St., sez. III, 10 dicembre 2012, n. 11548; id. 31 maggio 2013, n. 2986; id. 4 settembre 2013, n. 4429). 

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