Corte di Cassazione, sentenza n. 11160 del 9 maggio 2018
E’ indubbio che i principi ed i doveri individuati dal D.P.R. n. 18 del 2002 sono strettamente correlati alla peculiarità delle funzioni proprie delle Agenzie Fiscali, che mirano a garantire l’indipendenza e l’autonomia tecnica del personale chiamato a svolgerle.
Tanto spiega la ragione del divieto posto dal D.P.R. n. 18 del 2002 di svolgere ogni altra attività che “appaia” incompatibile con la corretta ed imparziale esecuzione dell’attività affidata all’Agenzia Fiscale.
Le considerazioni svolte evidenziano, in conclusione, il carattere assolutamente speciale della disciplina del D.P.R. n. 18 del 2002 rispetto a quella dettata dal D.P.R. n. 16 del 2013, il quale, non a caso, ha previsto (art. 17 c.3), espressamente, l’abrogazione del Codice di Comportamento adottato con D.M. del 28.11.2000, e non anche del D.P.R. n. 18 del 2002.
La specialità della disciplina contenuta nel D.P.R. n. 18 del 2002 e il divieto posto per i dipendenti delle Agenzie delle Entrate di svolgere, indipendentemente dal carattere oneroso o gratuito, le attività descritte in maniera analitica dall’art. 4 c. 1 e c.2 evidenziano l’infondatezza giuridica delle prospettazioni difensive svolte con riguardo alla gratuità dell’attività di consulenza prestata in favore di terzi estranei all’Amministrazione e che fanno leva sul regime dei regali dei compensi e di altre utilità. Va precisato che l’art. 4 del D.P.R. n. 62 del 2013 consente al pubblico di dipendente di ricevere solo in limitate occasioni (“salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali”) ma non contiene alcuna deroga al divieto imposto dall’art. 4 c. 2 del D.P.R. n. 18 del 2002 ai dipendenti delle Agenzie Fiscali di svolgere le attività ivi individuate, onerose o gratuite che siano.