Corte Costituzionale, sentenza n. 103 del 23 maggio 2018
È incostituzionale il raddoppio surrettizio della durata di una manovra di finanza pubblica a carico delle Regioni ordinarie. Perciò è illegittima l’estensione al 2020 del contributo di 750 milioni di euro imposto a tali Regioni, con la legge di bilancio per il 2017.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 103 depositata il 23 maggio, con la quale viene anche affermato che le autonomie speciali non devono sottrarsi agli accordi bilaterali con lo Stato finalizzati a stabilire la quota della loro contribuzione.
La censura di incostituzionalità riguarda l’articolo 1, comma 527, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), là dove prevede appunto l’estensione al 2020 del contributo di 750 milioni a carico delle Regioni ordinarie (già previsto dal primo periodo dell’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66). Secondo la Corte, la disposizione censurata è in contrasto con il canone della transitorietà che deve caratterizzare le singole misure di finanza pubblica impositive di risparmi di spesa alle Regioni. Con la norma impugnata dalla Regione Veneto, lo Stato aveva, per la terza volta, esteso di un anno l’ambito temporale di operatività di una manovra economica in origine limitata al triennio 2015-2017, fino a giungere, con la disposizione ora dichiarata incostituzionale, a raddoppiarne la durata inizialmente prevista.
La sentenza non esclude che sia lecito imporre alle Regioni risparmi anche di lungo periodo ma ribadisce che le singole misure di contenimento della spesa pubblica devono presentare il carattere della temporaneità e richiedono che lo Stato definisca di volta in volta, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro organico delle relazioni finanziarie con le Regioni e gli enti locali, per non sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici delle singole manovre di finanza pubblica.
La Corte ha colto l’occasione per evidenziare che l’imposizione alle Regioni a statuto ordinario di contributi alla finanza pubblica incide inevitabilmente sul livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, sicché lo Stato, in una prospettiva di lungo periodo, dovrà scongiurare il rischio dell’impossibilità di assicurare il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza in materia sanitaria e di garanzia del diritto alla salute. Tale rischio dovrà essere evitato, eventualmente, mediante il reperimento di risorse in ambiti diversi da quelli riguardanti la spesa regionale.