Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 21925 dep 17 maggio 2018
Quanto alla riconducibilità oggettiva della condotta al reato di riciclaggio, deve dirsi che correttamente la Corte di appello ha ritenuto che il versamento dei due assegni, rappresentando un ulteriore passaggio nella sostituzione della titolarità delle somme provenienti dal fallimento, costituisse certamente un ostacolo alla ricostruzione della provenienza dei beni, ostacolo atto — come già sopra ricostruito — alla riconduzione al reato di riciclaggio (cfr. supra §§ 5.1. e 6.1). Peraltro, per rispondere ad una specifica osservazione del ricorso quanto alla ritenzione della somma incamerata ed alla mancata restituzione di essa dalla X alla Y o al fallito, giova ricordare nuovamente — avallando il ragionamento sul punto della Corte distrettuale — che questa Corte ha affermato che il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’art. 648-bis, primo comma, cod. pen., non essendo invece necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato (Sez. 2, n. 1857 del 16/11/2016, dep. 2017, Ferrari, Rv. 269316) ed essendo sufficienti l’operazione di svuotamento del patrimonio aggredibile dalla curatela e il successivo deflusso del denaro nel conto corrente di un soggetto del tutto estraneo alla compagine societaria (Sez. 2, n. 43881 del 09/10/2014, Matarrese, Rv. 260694).