Corte di Cassazione, sentenza n. 15526 del 13 giugno 2018
In continuità con i principi affermati dalla Suprema Corte in precedenti pronunce (Cass n. 11595/20016, ribaditi anche nelle recenti pronunce nn. 24583, 1754 e 1706 del 2017 e nn. 26475, 25378, 18723, 18099 del 2016 ), deve ribadirsi che la facoltà attribuita dall’art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, alle Pubbliche amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell’Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato.
L’esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poiché in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro».
In mancanza, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell’azione
amministrativa (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001), l’applicazione dei criteri generali di
correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cc), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché l’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE, come
interpretato dalla CGUE.