TAR Lombardia, sentenza n. 591 del 18 giugno 2018
La stazione appaltante aveva formulato all’impresa X una richiesta di integrazione della documentazione utilizzando una formula ampia, quale la richiesta di produrre “tutti gli atti in possesso di codesto operatore economico che riguardano gli illeciti professionali così come dichiarati”. Ciò facendo espresso riferimento alla Sezione C della Parte III del DGUE avente ad oggetto “Motivi legati a insolvenza, conflitto di interessi o illeciti professionali”, nella quale risultava che il concorrente “si è reso colpevole di gravi illeciti professionali di cui all’art. 80 comma 5, lettera c) del Codice”.
L’impresa ha volontariamente omesso di dichiarare una risoluzione contrattuale, ancorché non definitiva.
Non può ritenersi che, a fronte dell’obbligo di dichiarare tutte le situazioni che potrebbe incidere sul giudizio di affidabilità del concorrente da parte della stazione appaltante, il primo possa arbitrariamente scegliere di non dichiarare una risoluzione contrattuale solo perché non ancora annotata presso l’ANAC (formalità che ha mero effetto di pubblicità) o in quanto contestata.
Come chiaramente affermato dalla giurisprudenza, ancorchè con riferimento all’articolo 38 del previgente Codice degli appalti, l’obbligo dichiarativo, che sussiste in capo al concorrente e che deve riguardare indistintamente ogni vicenda pregressa concernente fatti risolutivi, errori o altre negligenze comunque rilevanti ai fini della formazione del giudizio di affidabilità (cfr. sul punto, tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 15 dicembre 2016, n. 5290 e 4 ottobre 2016, n. 4108) costituisce espressione dei generali principi di lealtà e affidabilità contrattuale, posti a presidio dell’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali facenti capo alla pubblica amministrazione. Conseguentemente, incorre nell’esclusione dalla gara il concorrente che renda una dichiarazione non veritiera e comunque incompleta – e ciò a prescindere dalla connotazione soggettiva della scelta, e dunque dalla colposità o dolosità della condotta, che non rilevano ai fini dell’estromissione dalla procedura selettiva –, in quanto una simile omissione non consente alla stazione appaltante di svolgere le dovute verifiche circa il possesso dei requisiti di integrità e affidabilità professionale e quindi di effettuare i dovuti approfondimenti prima di decretare l’esclusione.
Come già affermato nella sentenza del TAR Napoli, n. 3691/2018, da cui non si ravvisa ragione di discostarsi, tali coordinate ermeneutiche debbono essere ritenute tuttora valide, anche nella vigenza della nuova normativa di cui al citato art. 80 comma 5 lett. c) del nuovo codice, benché tracciate in relazione all’art. 38 comma 1 lett. f) del previgente codice degli appalti (ex multis, di recente, TAR Puglia Bari, sez. I, sent. 19/4/18 n. 593, TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. 6/4/18 n. 712).
Il Collegio non ignora un diverso orientamento giurisprudenziale (cfr, da ultimo, Cons. Stato, n. 2063/2018, secondo cui “nessun onere di segnalazione poteva dirsi sussistente in capo ad una ditta rispetto ad un episodio risolutivo che, in quanto ancora sub iudice e non avente dunque i connotati della definitività, per espressa previsione di legge non può costituire elemento idoneo a mettere in dubbio, nemmeno astrattamente, l’integrità o affidabilità dell’impresa concorrente”), ma ritiene di fare proprio quello opposto, sulla base delle puntuali riflessioni rinvenibili nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1299/2018.
Deve, dunque, ritenersi che l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti, contenuta nella lettera c) del comma 5 dell’art. 80, sia meramente esemplificativa, allo scopo di alleggerire l’onere della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione con <>: se, dunque, la risoluzione non sia contestata o sia stata confermata da una sentenza passata in giudicato, il grave illecito deve ritenersi in re ipsa, con automatico effetto escludente. Ciò, però, non preclude la possibilità di soppesare l’affidabilità del contraente in ragione di una risoluzione contestata, comunque suscettibile di una valutazione discrezionale in termini di qualificazione come “grave illecito professionale”.