Consiglio di Stato, sentenza n. 3778 del 20 giugno 2018
La sentenza di primo grado aveva respinto il ricorso del sostituto commissario di P.S., ritenendo che la condotta della medesima, sanzionata con il richiamo scritto, sia in chiaro contrasto con la circolare 333-C/I/9009-B1/2008 del 3.11.2008, recante “Disposizioni concernenti l’uso del titolo accademico per il personale della Polizia di Stato”.
Ma il Consiglio di Stato ha stabilito che la motivazione del giudice di primo grado non è condivisibile, poiché la stessa circolare autorizza il personale di Polizia ad utilizzare il titolo accademico, secondo particolari modalità, le quali, nel caso concreto, sono state puntualmente osservate.
In particolare la circolare in esame, al fine di attribuire la giusta rilevanza all’eventuale possesso del titolo di studio universitario, riconosce anche al personale appartenente ai ruoli non dirigenti e non direttivi della Polizia di Stato la facoltà di fregiarsi del titolo accademico conseguito in tutti i documenti attinenti al servizio, redatti e firmati dallo stesso personale laureato, con l’obbligo, in tal caso, di far precedere l’indicazione del titolo accademico dalla qualifica rivestita in forma chiara ed estesa.
Nel caso di specie l’appellante, in servizio con la qualifica di sostituto commissario della Polizia di Stato, ha utilizzato il titolo accademico posseduto nel “gruppo firma” di una relazione di servizio diretta al Dirigente della Sezione, ma ha rispettato puntualmente l’obbligo di far precedere il titolo dalla indicazione della qualifica rivestita, in forma chiara ed estesa.
In particolare, poi, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non trova applicazione la previsione contenuta nell’ultimo paragrafo della citata circolare ministeriale, la quale limita l’utilizzo del titolo accademico posseduto, richiedendo l’indicazione della sola qualifica rivestita nell’organico di P.S., negli “atti e provvedimenti provenienti dall’Amministrazione, che riguardano il personale dei ruoli degli agenti, assistenti, sovrintendenti ed ispettori, e dei corrispondenti ruoli tecnici (per es. ordinanze di servizio, ordini di servizio, convocazioni, corrispondenza d’ufficio, documenti)”.
Infatti è agevole osservare che, per un verso, l’atto predisposto e sottoscritto dall’appellante presenta la fisionomia di una vera e propria “relazione di servizio”, e non di “atto di ufficio a tutti gli effetti”, emanato cioè nell’esercizio dei poteri di rilevanza esterna connessi alla qualifica rivestita.
Per altro verso, poi, è evidente l’equivoco che ha condotto l’Amministrazione a comminare la impugnata sanzione, seguendo un’errata interpretazione, che poi è stata sommariamente condivisa dal TAR.
Infatti l’ultimo capoverso della circolare ministeriale non riguarda la firma, ma la diversa ipotesi in cui nel corpo degli atti della Polizia di Stato occorra fare riferimento alla qualifica del personale.
Soltanto in tali casi sussiste l’obbligo di identificare i soggetti mediante l’esclusivo riferimento alla qualifica ricoperta, senza alcuna possibilità di aggiungere il titolo accademico del dipendente, funzionario o dirigente.
Dalle esposte considerazioni, quindi, deriva l’illegittimità della sanzione inflitta alla interessata, in quanto la condotta tenuta dalla medesima non configura la mancata osservanza dei doveri di servizio, individuati dalla circolare ministeriale 3 novembre 2008, n.333.