Corte di Cassazione, sentenza n. 15475 del 13 giugno 2018
Con riferimento agli enti associativi, l’articolo 148 del Tuir stabilisce la regola generale per cui le somme erogate esclusivamente per la partecipazione alla vita associativa sono da considerare “decommercializzate” (“decommercializzazione generale”).
Al contrario, sono da considerarsi attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rivolte agli associati e rese verso il pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare.
La commercialità delle operazioni è, dunque, ravvisabile nel rapporto sinallagmatico che si instaura tra la prestazione fornita dall’associazione e la controprestazione resa dall’associato che, in cambio, versa uno specifico corrispettivo.
Tuttavia queste ultime operazioni, pur essendo per loro natura commerciali, sono “attratte” nell’alveo della non commercialità qualora si verifichino le seguenti condizioni:
a) siano da ritenersi affini e strumentali rispetto ai fini istituzionali dell’associazione
b) siano svolte esclusivamente in favore degli associati.
Se manca una sola di queste condizioni, l’attività non potrà che essere qualificata come commerciale (“decommercializzazione speciale”).
Con riferimento al caso esaminato, l’esercizio di un bar difetta del requisito sub a), in quanto la prestazione, seppure rivolta nei confronti dei soli associati del circolo, non può essere messa in alcun modo in stretta connessione con le finalità, in genere di promozione sociale e/o culturale, perseguite dall’ente no profit.