Corte di Cassazione, ordinanza n. 16590 del 22 giugno 2018
Si richiamano i precedenti della Suprema Corte, tra cui Cass. 11.12.2014 n. 26106 e Cass. 26.5.2017 n. 13383; secondo la prima delle pronunce richiamate, in materia di licenziamento per giusta causa, non costituisce illecito disciplinare, né fattispecie determinativa di danno ingiusto – grazie alla scriminante di cui all’art. 598, primo comma, cod. pen., avente valenza generale nell’ordinamento – attribuire al proprio datore di lavoro, in uno scritto difensivo, atti o fatti, pur non rispondenti al vero, concernenti in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia, ancorché tale scritto contenga, in ipotesi, espressioni sconvenienti od offensive (soggette solo alla disciplina prevista dall’art. 89 cod. proc. civ.); ugualmente Cass. 13383/2017 sopra citata ha evidenziato come l’esercizio del diritto di difesa – coperto da intangibile garanzia, grazie all’art. 24 Cost., anche in sede di procedimento disciplinare ex art. legge n. 300 del 1970 – non è affatto condizionato dai requisiti di verità, continenza e pertinenza, requisiti che invece attengono all’esercizio di ben diverso diritto (quello di cronaca) e servono a scriminarne eventuali profili di diffamazione; prosegue tale pronuncia rimarcando come il diritto di critica non si risolve, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si esprime mediante un giudizio o un’opinione su cose o persone, opinione che, proprio perché tale, non può essere rigorosamente valutata in termini di verità e obiettività (cfr. Cass. 13383/17 cit., con richiamo a Cass. n. 13646/06), sicchè, rispetto ad una critica (per sua natura soggettiva, essendo espressione di convincimenti e valutazioni personali del dichiarante), neppure si pone l’alternativa vero/falso, che rileva – invece – nell’esercizio del diritto di cronaca (estraneo alla vicenda in esame).