Consiglio di Stato, sentenza n. 4577 del 26 luglio 2018
In termini generali, alla violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue l’illegittimità dell’atto tardivo – salvo che il termine sia qualificato perentorio dalla legge – trattandosi di una regola di comportamento e non di validità. L’art. 2-bis della legge sul procedimento, infatti, correla all’inosservanza del termine finale conseguenze sul piano della responsabilità dell’Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti la stessa legittimità dell’atto tardivamente adottato. Il ritardo, in definitiva, non è quindi un vizio in sé dell’atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione. Resta inoltre ferma la possibilità per gli interessati di chiedere la condanna dell’Amministrazione a provvedere ai sensi dell’art 117 c.p.a. Nel caso in esame ‒ considerato che, come è noto, la perentorietà dei termini procedimentali può aversi, quale eccezione alla regola della loro natura meramente ordinatoria o acceleratoria, soltanto laddove la stessa perentorietà sia espressamente prevista dalle norme che disciplinano in modo specifico i procedimenti di volta in volta considerati, o queste sanzionino espressamente con la decadenza il mancato esercizio del potere dell’amministrazione entro i termini stabiliti ‒ non è dato riscontrare alcuna norma che riconnetta al ritardo la consumazione del potere di accertamento in capo all’Autorità.
Al pari della giurisprudenza europea ‒ del Tribunale (sentenza 12 luglio 2018, nella causa T-475/14, punto 85) e dalla Corte di giustizia (sentenza 21 settembre 2006, in C-105/04, punto 42), nei procedimenti relativi al regolamento n. 1 del 2003 ‒ deve ritenersi che il superamento del termine ragionevole di conclusione del procedimento (da computarsi di volta in volta alla luce della specifica disciplina di settore) possa costituire un motivo di annullamento delle decisioni che constatino la commissione di infrazioni soltanto qualora risulti provato che la violazione del principio del termine ragionevole ha pregiudicato i diritti della difesa delle imprese interessate, ridondando in un vizio della funzione pubblica. Al di fuori di tale specifica ipotesi ‒ la cui ricorrenza nella specie non è stata né dedotta né dimostrata ‒, il mancato rispetto dell’obbligo di decidere entro un termine ragionevole non incide sulla validità dell’atto.