La legge 124/2017 (c.d. legge sulla concorrenza) ha avuto un effetto non previsto nel settore farmaceutico. Infatti, oltre alle novità normative apportate (in primis, la possibilità di società di capitali di gestire farmacie), ha innescato una serie di interpretazioni anche su altre questioni; una su tutte è quella della doppia titolarità. Cioè, un farmacista può essere socio o lavoratore di due farmacie?
La risposta che FOFI e Consiglio di Stato hanno dato è chiara: no, senza esclusioni e senza limitazioni. Ma vediamo come si è arrivati a questo punto.
La norma in questione (art. 7 c. 6 della l. 362/1991), fino al 2006 era chiara: “Ciascun farmacista puo’ partecipare ad una sola societa’ di cui al comma 1” (ndr società titolari di farmacie).
E’ importante ricordare anche il comma 5 ”Ciascuna delle societa’ di cui al comma 1 puo’ essere titolare dell’esercizio di una sola farmacia”.
Quindi la normativa era chiara: ciascun farmacista partecipa ad 1 società che può avere 1 farmacia.
Corollario di ciò era il regime delle incompatibilità (art. 8 c. 1):
“La partecipazione alle societa’ di cui all’articolo 7, …, e’ incompatibile: b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia”
Quindi, ciascun farmacista sempre e solo una farmacia.
Con il dl 223/2006 (c.d. decreto Bersani) è stato inserito il seguente comma 4-bis. “Ciascuna delle societa’ di cui al comma 1 puo’ essere titolare dell’esercizio di non piu’ di quattro farmacie ubicate nella provincia dove ha sede legale”, e sono stati abrogati (tra gli altri) i commi 5 e 6.
Quindi, è stato abrogato il comma che limitava la partecipazione dei farmacisti ad una sola società.
Non mutava il regime delle incompatibilità.
La Relazione illustrativa esplicitamente affermava: “Si elimina il vincolo tra l’albo provinciale di iscrizione del farmacista e la sede della farmacia, nonchè il divieto di assumere la titolarità di piu farmacie o di partecipare a più società.
Sorgeva quindi il dubbio: se è stato abrogato il vincolo di partecipare a più società, come si concilia con il divieto di cui all’art. 8, cioè: “La partecipazione alle societa’ di cui all’articolo 7, …, e’ incompatibile: b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia”?
Cioè, se il farmacista partecipa a due società, in una sarà socio, ma nell’altra non potrà essere titolare/direttore/collaboratore? E quindi cosa potrà essere nell’altra, forse solo socio?
La prassi che si è instaurata, sostanzialmente, prevedeva che l’incompatibilità era limitata ai casi in cui si “lavorava” in due farmacie, quindi era esclusa in tutti quei casi in cui la partecipazione si sostanziava in un mero versamento di capitale, senza che il socio, di fatto, acquisisse alcun ruolo decisionale nell’ambito della società.
Quindi non è stato infrequente che farmacisti soci di società titolari di una farmacia, lavorassero in un’altra, senza avere, però, nella prima nessun ruolo. Ciò si verificava, per esempio, nel caso di società in accomandita semplice, dove il farmacista era un semplice socio accomandante, senza alcun ruolo o potere decisionale, e lavorava pure per una seconda farmacia.
Si ritiene, infine, che in caso di gestione societaria, la titolarità sia da imputare alla società, quale persona giuridica a se stante diversa dal farmacista socio.
Con il concorso straordinario si “incrina” questa impostazione. Infatti la nota del Ministero della Salute del 26/11/2012, riportante alcuni chiarimenti alla FOFI in merito al concorso straordinario e alle forme associate, affermava” tale società rileverà unicamente ai fini della gestione, perchè la titolarità, per effetto della richiamata disposizione di legge, resta, congiuntamente, in capo ai soci, in deroga alla fattispecie già prevista dall’articolo 7 della legge n. 362/1991”.
L’Ordine dei Farmacisti di Bergamo, commentando la nota, chiariva: “l’interpretazione ministeriale comporta che gli associati, pur potendo partecipare a due concorsi regionali, in caso di vincita in entrambe le procedure, non potranno acquisire la titolarità/contitolarità di entrambe le farmacie, in quanto l’accettazione dell’assegnazione della seconda, con la connessa adozione del provvedimento di autorizzazione, comporta la decadenza dalla prima (art. 12 della l. 475/1968) ; inoltre, qualora un socio di società titolare di farmacie rurale sussidiata o soprannumeraria risulti vincitore, in forma individuale o associata, sarà tenuto ad uscire dalla società prima di acquisire al titolarità/contitolarità della nuova farmacia (art. 8 della L. 362/1991)”
Quindi ecco fare capolino il concetto di “contitolarità” in caso di gestione societaria. Questa impostazione è più rispettosa anche del diritto societario italiano, che riconosce alle società di persone una personalità giuridica “attenuata” o “trasparente”, cioè, pur essendo dei soggetti giuridici, la responsabilità degli obblighi giuridici e il reddito sono imputati direttamente ai soci. Quindi, traslando il concetto di “trasparenza”, anche la titolarità non è in capo alle società di persone, ma direttamente ai soci.
Non è secondario sottolineare che il Ministero, tuttavia, con l’inciso “in deroga”, lasciava intendere che tale “contitolarità” era da limitarsi al concorso straordinario.
Con la legge sulla concorrenza (l 124/2017), si è aperta la possibilità pure per le società di capitali di essere titolari di più farmacie, senza che vi sia la necessità che tra i soci vi siano farmacisti, fino al 20% su base regionale.
La norma, “prima facie”, sembra essere ancora più permissiva della precedente, perchè il limite è innalzato da quattro farmacie nella provincia, fino al 20% di farmacie della regione.
Ma, in effetti, si è cominciato a separare nettamente l’aspetto gestionale-finanziario dall’aspetto professionale tipico dei farmacisti.
Sul punto si registra l’intervento della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI) con la circolare n. 10747 del 18 dicembre 2017 , nella quale viene affermato che “le incompatibilità riguardano tutti i soci, ossia tutti coloro che possiedono una partecipazione in una società titolare di farmacia, indipendentemente dallo svolgimento o meno di attività all’interno della stessa”.
Quindi è la stessa Federazione degli Ordini che aderisce ad un’interpretazione dove qualsiasi partecipazione, anche solo di capitali, ad una società titolare di farmacia, impedisce lo svolgimento di attività presso un’altra farmacia.
Il Consiglio di Stato, aderendo all’interpretazione della FOFI e rigettando l’interpretazione del Ministero, conferma che
Le farmacie private possono quindi essere:
– uninominali, quando la titolarità è in capo ad un singolo farmacista iscritto all’albo con i requisiti di idoneità.[…] Titolarità della farmacia e proprietà dell’azienda sono inseparabili, tanto che il trasferimento della titolarità comporta la cessione della proprietà;
– in gestione societaria, quando la titolarità è condivisa tra più farmacisti iscritti all’albo con i requisiti di idoneità, che a tal fine costituiscono una società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice);
E, rispondendo al quesito posto, afferma:
4) l’incompatibilità di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) da parte del titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia deve essere estesa a qualsiasi forma di partecipazione alle società di farmacia, senza alcuna limitazione o esclusione
Il Consiglio di Stato richiama anche quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 275/2003: “In questa prospettiva, come si nota, l’utilizzo di una formula onnicomprensiva per le incompatibilità in questione, conferisce alla norma il valore di un principio generale applicabile a tutti i soggetti che, in forma singola o associata, siano titolari o gestori di farmacie”.
Qundi anche la Corte Costituzionale parla di una titolarità in capo ai farmacisti, che possono esercitarla “in forma singola o associata”.
Sembra, quindi, che ci sia la tendenza a separare nettamente il “manager”, soggetto che gestisce un’attività imprenditoriale tra cui rientrano pure le farmacie, e il “professional”, cioè il “direttore tecnico” che è l’unico soggetto abilitato, attraverso un determinato percorso di qualificazione professionale, a svolgere quell’attività.
Le professioni protette, hanno una caratteristica: nessuno può giudicare nel merito la decisione del professionista (medico, avvocato, farmacista, ecc…), appunto perchè di contenuto altamente professionale. Dall’altro lato, però, tali decisioni possono essere sottoposte ad un organismo di categoria, che ne valuta la rispondenda ai canoni soprattutto etici della categoria, e, in casi estremi, valuta il merito solo se di tutta evidenza contrari alle regole tecniche del settore.
Le professioni protette, chiara ed evidente eccezione al principio di libera concorrenza, nascono per l’esigenza di tutelare un interesse pubblico (il diritto alla salute nel caso delle professioni sanitarie, l’amministrazione delle giustizia nel caso degli avvocati, ecc…), perchè normalmente le imprese sono orientate al profitto, elemento che potrebbe non coincidere con l’interesse pubblico in settori particolarmente delicati.
L’eccezione al principio di libera concorrenza reca con sè un altro corollario: è vietato a chi svolge una professione “protetta” di svolgere attività d’impresa, altrimenti il rischio di essere “guidato” dal profitto sarebbe troppo elevato. E’ per questo motivo, per esempio, che tra gli avvocati abbiamo le “società di professionisti”. Tra l’altro la Commissione Europea ammette deroghe al principio di libera concorrenza solamente di fronte a chiarissime esigenze di interesse pubblico.
Quindi, in questo contesto dove il principio di libera concorrenza è sempre più presente nella giurisprudenza europea, e dove i limiti alle legislazioni dei vari stati membri si fanno più stringenti, la separazione tra “manager” e “professional” potrebbe essere l’unica soluzione per tutelare quelle professioni in cui l’elevata qualificazione è al servizio dell’interesse pubblico.