L’azienda sanitaria non può pretendere il “solve et repete” (prima paga tu, poi ti pago io)

Consiglio di Stato, sentenza n. 4936 del 13 agosto 2018

A parte che la giurisprudenza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione ha espressamente definito “innaturale” il meccanismo del solve et repete (9/11/1992, n. 12074) e che la Corte Costituzionale ha, da oltre mezzo secolo, ritenuto illegittimo il differimento della tutela giurisdizionale solo dopo l’adempimento dell’obbligazione tributaria, giustappunto secondo lo stesso criterio del solve et repete (sentenze n. 45 del 1962 e nn. 21 e 79 del 1961) – per rimanere al caso di specie appare evidente che la pur (più volte sin qui) rimarcata peculiarità del rapporto sinallagmatico dedotto in causa non può giungere sino al punto di consentire all’Amministrazione sanitaria (normalmente in posizione di debitrice all’interno dello stesso rapporto) di esperire in via del tutto unilaterale un tale mezzo di autotutela sul terreno dell’adempimento, senza, cioè, che una condizione come quella sopra descritta sia contenuta nello specifico contratto stipulato tra le parti ai sensi dell’art. 8 quinquies D. Lgs. n. 502/1992, quantomeno a mo’ di accettazione della condizione stessa, posto che l’art. 1341, 2° comma cod. civ. prescrive la specifica approvazione per iscritto della clausola-tipo ex art. 1462 c.s., in ragione della sua natura vessatoria.
Conclusivamente, la nota ASL 2 aprile 2017 va, dunque, confermata nella parte in cui comunica all’accreditato che “dovrà emettere nota di credito pari a € 154.250,78”; mentre va annullata nella parte in cui “precisa che il saldo delle spettanze verrà espletato solo dopo la ricezione della suddetta nota di credito”.
Cosicché, in caso di perdurante non emissione della nota di credito da parte dell’accreditato (anche per effetto della parziale sospensione della sentenza di primo grado disposta da questa Sezione con la menzionata ordinanza n. 4631/2017), per la soddisfazione della relativa pretesa non restano all’ASL che i seguenti rimedi:
– o pagare le somme dovute all’accreditato per le prestazioni da questa regolarmente effettuate e non contestate, decurtandole, in via di compensazione, del suddetto importo di euro 154.250,78: la legittimità del meccanismo della decurtazione – in quel caso tariffaria, ma che ugualmente si risolve in un minore introito per la struttura accreditata – è stata ritenuta dalla citata sentenza n. 2147/2018 di questa Sezione in un caso di inadempimento tale da comportare l’offerta di una “prestazione inferiore” da parte della struttura stessa, trattandosi in questo caso di prestazioni invece totalmente non remunerabili dal S.S.R.;
– ovvero liquidare integralmente le suddette somme e agire successivamente, ex art. 2033 cod. civ., per la restituzione di quanto ritenesse di avere indebitamente pagato.

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