Consiglio di Stato, sentenza n. 5023 del 22 agosto 2018
Le misure ex art. 32, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, secondo la logica tipica del sistema normativo finalizzato a frapporre un argine alla diffusione delle condotte criminali nel delicato settore dei pubblici appalti ed a contenere i relativi effetti inquinanti sulla sua corretta gestione, assolvano ad una funzione di carattere “preventivo”, mirando alla sterilizzazione delle conseguenze dannose di quelle condotte (le quali altrimenti, dopo aver minato la fase costitutiva del rapporto, si propagherebbero a quella strettamente esecutiva), nelle more di più approfonditi accertamenti in ordine alla incidenza dei riscontrati comportamenti illeciti sulla genesi del rapporto contrattuale (suscettibili di generare, appunto, l’adozione di più penetranti misure di autotutela).
All’esercizio del potere applicativo delle misure di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90 del 2014 non è sottesa alcuna valutazione (in positivo) dell’interesse pubblico all’esecuzione del contratto, atteso che, in mancanza della loro adozione e salvo l’intervento di ulteriori fattori ostativi, esso comunque proseguirebbe a cura e sotto la responsabilità degli ordinari organi amministrativi dell’impresa aggiudicataria (essendo il potere de quo funzionale esclusivamente a garantire la prosecuzione del rapporto in condizioni di “sicurezza” rispetto ad eventuali ingerenze criminali).
Inoltre, il fatto che le “situazioni sintomatiche di condotte illecite” integrino il presupposto applicativo della misura de qua non impedisce di riconoscere nelle stesse una (concorrente) attitudine giustificativa del provvedimento di autotutela qualora, da quelle condotte e/o da altre concomitanti circostanze, sia desumibile, oltre ai profili di illegittimità (quindi di annullabilità) del provvedimento di aggiudicazione, l’interesse pubblico alla sua caducazione.