Corte di Cassazione, sentenza n. 18567 del 31 luglio 2018
Ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 128/1969, per tutta la durata del ricovero, responsabile della tenuta e conservazione della cartella clinica è il medico ( in particolare, il responsabile della unità operativa ove è ricoverato il paziente). Questi esaurisce il proprio obbligo di provvedere oltre che alla compilazione, alla conservazione della cartella, nel momento in cui consegna la cartella all’archivio centrale, momento a partire dal quale la responsabilità per omessa conservazione della cartella si trasferisce in capo alla Struttura sanitaria, e quindi alla direzione sanitaria di essa, che deve conservarla in luoghi appropriati, non soggetti ad alterazioni climatiche e non accessibili da estranei. L’obbligo di conservazione della cartella, come ribadito dalle successive circolari del Ministero della Sanità, è illimitato nel tempo, perché le stesse rappresentano un atto ufficiale. Proprio per superare i problemi connessi allo smarrimento e alla deperibilità naturale delle cartelle, è in corso di realizzazione la digitalizzazione degli archivi sanitari, che comporterà il passaggio dalle cartelle cliniche cartacee alle cartelle cliniche digitali. Ne consegue che il principio di vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella, le cui carenze od omissioni non possono andare a danno del paziente (si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. III, 05-07-2004, n. 12273; Cass. civ. sez. III, 26 – 01 – 2010, n. 1538 e, di recente, Cass. n. 7250 del 2018), non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente ad essa. La violazione dell’obbligo di conservazione non può riverberarsi direttamente sul medico determinando una inversione dell’onere probatorio