Corte di Cassazione, sentenza n. 20555 del 8 agosto 2018
La giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte affermato che: a) l’istituto della decadenza dal rapporto di impiego, come disciplinato dagli articoli 60 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, è applicabile ai dipendenti di cui all’art. 2, commi secondo e terzo, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in forza dell’espressa previsione contenuta nell’art. 53, comma primo, dello stesso decreto, e, siccome attiene alla materia delle incompatibilità, è estraneo all’ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all’art. 55 dello stesso testo normativo (vedi, per tutte: Cass. 19 gennaio 2006, n. 967); b) in materia di pubblico impiego, la disciplina dell’incompatibilità prevista dal d.P.R. n. 3 del 1957, art. 60, e segg., prevede che l’impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall’incarico; ne consegue che soltanto nel caso in cui l’impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all’art. 55 del decreto citato, posto che, diversamente, trova applicazione l’istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro (vedi, tra le tante: Cass. 12 ottobre 2012, n. 17437; Cass. 15 gennaio 2015, n. 617; Cass. 4 aprile 2017, n. 8722; Cass. 30 novembre 2017, n. 28797)