Consiglio di Stato, sentenza n. 3158 del 3 settembre 2018
Costituisce principio pacifico, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi (cfr., tra le tante, Cass., sez. I, 20 marzo 2014, n. 6555), quello per cui i contratti con la Pubblica amministrazione devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta e – salva la deroga prevista dall’art. 17 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 per i contratti con le ditte commerciali, che possono essere conclusi a distanza, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio” – con la sottoscrizione, ad opera dell’organo rappresentativo esterno dell’ente, in quanto munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione, e della controparte, di un unico documento, in cui siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto; tali regole formali sono funzionali all’attuazione del principio costituzionale di buona amministrazione in quanto agevolano l’esercizio dei controlli e rispondono all’esigenza di tutela delle risorse degli enti pubblici contro il pericolo di impegni finanziari assunti senza l’adeguata copertura e senza la valutazione dell’entità delle obbligazioni da adempiere (ciò che vale ad escludere l’idoneità di una mera delibera comunale, deputata ad altra funzione e priva del relativo impegno di spesa, nonché dell’indicazione dei mezzi per far fronte al compenso del professionista).
Sotto distinto e concorrente profilo, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale e un professionista, al quale il primo abbia affidato la progettazione di un’opera pubblica, la clausola con cui il pagamento del compenso per la prestazione resa è condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione di detta opera deve qualificarsi come “condizione potestativa mista”, il cui mancato avveramento preclude l’azionabilità del credito (cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2014, n. 26657).
Orbene, nel caso di specie, l’amministrazione, nel riscontrare la richiesta di riconoscimento del debito fuori bilancio formulata dall’odierno appellante, ha rilevato, sotto entrambi gli evidenziati profili, la mancanza dei relativi presupposti, in quanto: a) il contratto non era stato stipulato nelle forme di rito, trattandosi di incarico conferito sulla sola base di delibera di Giunta comunale; b) in ogni caso, il pagamento dell’eventuale corrispettivo era stato subordinato al conseguimento di un finanziamento, che non era stato mai riconosciuto, con il conseguente venir meno della relativa condizione.
Tanto appare sufficiente, come già ritenuto dal primo giudice ed in difetto di contrarie allegazioni, per confermare l’insussistenza del credito vantato in danno dell’Amministrazione e, di conserva, l’inesistenza del preteso obbligo di attivare il procedimento per il riconoscimento del relativo debito fuori bilancio.