Nel reato di frode in pubbliche forniture, non è necessario il raggiro, ma la semplice dolosa inesecuzione.

Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 43900 dep 3 ottobre 2018

La Suprema Corte ha di recente avuto modo di puntualizzare che la nozione di frode, rilevante ai fini della contestata norma incriminatrice, si riferisce ad ogni condotta che, nei rapporti con la P.A., viola il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, quale sancito dall’art. 1375 cod. civ., per ciò solo risolvendosi oggettivamente in un fatto dannoso per per l’interesse pubblico (cfr. Sez. 6, sent. n. 6905 del 25.10.2016 – dep. 14.02.2017, Rv. 269370): il che vale a ribadire il consolidato insegnamento, per cui il reato previsto e punito dall’art. 356 cod. pen. non richiede una condotta implicante artifici o raggiri – propri del reato di truffa e semmai rilevanti ad integrare il concorso delle due fattispecie criminose, ricorrendo ovviamente gli altri elementi costitutivi richiesti dall’art. 640 cod. pen. – essendo sufficiente la dolosa inesecuzione del contratto pubblico di fornitura di cose o servizi (cfr. Sez. 6, sent. n. 38346 del 15.05.2014, Rv. 260270). Così come altrettanto consolidata è l’affermazione circa la natura di dolo generico propria dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 356 cod. pen. (cfr. la già citata sentenza n. 6905/2017).

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