Occorre precisare che la confisca, quale misura accessoria della pena, priva di natura risarcitoria, consiste nella ablazione coattiva di un bene disposta dallo Stato al fine di evitare che il reo, mantenendo la disponibilità del bene, possa commettere ulteriori reati. Si tratta, quindi, di uno “strumento di natura punitiva e dissuasiva che prescinde totalmente da ogni aspetto inerente alla presenza di danni di natura patrimoniale” (v. Corte conti Sez. Sicilia Appello 433/2014 e 23/2017, Sez. III appello 549/2016, Sez. Umbria 76/08, Sez. Toscana 252/2015, Sez. Veneto, 29/2017), dal momento che gli importi confiscati sono ontologicamente e finalisticamente diversi rispetto a quanto preteso dall’erario a titolo di risarcimento. Come noto, in questa sede, è possibile addivenire ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere solo qualora siano interamente soddisfatte le pretese patrimoniali dell’erario attraverso una completa rifusione, avvenuta in altra sede, di quanto richiesto in pagamento dall’attore pubblico (così, ad esempio, in tal senso: Corte conti Basilicata 61/2013). Non avendo la confisca, per le ragioni sopra esposte, tale natura ristoratrice/riparatrice delle pubbliche risorse, la richiesta di cessata materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse deve essere respinta (v. in tal senso Corte conti Terza Appello 340/2017 – Corte conti Sicilia 756/2016).