Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza n. 492 del 25 settembre 2018
Va evidenziato che l’“occultamento doloso”, come condotta, tesa a porre nell’ombra dell’impercettibile il fatto dannoso – in fieri o già causato – richiederebbe un “quid pluris” commissivo, ma ciò solo in assenza di un obbligo giuridico di attivarsi. Ricorrendo, invece, un obbligo giuridico di informare (come nella fattispecie in esame) e, quindi, di attivarsi, l’ulteriore condotta dolosa del debitore/dipendente pubblico, tesa ad occultare il fatto pregiudizievole, può estrinsecarsi anche in una condotta omissiva, “…quando chiaramente riguardi atti dovuti, ai quali, cioè, il debitore è tenuto per legge” (Cass. n. 392 del 16 febbraio 1967; id. 9 gennaio 1979, n. 125; 11 novembre 1998, n. 11348). La giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. 3^ civile n. 2030, del 29 gennaio 2010, Sez. 2^ penale, n. 30798, del 27 luglio 2012, Sez. 2^ pen., n. 24340/2010 e n. 41717/2009) ha sancito la rilevanza della condotta omissiva, ai fini integrativi dell’occultamento doloso. In tal senso è stato rilevato che anche il semplice silenzio, “serbato maliziosamente su alcune circostanze da chi abbia il dovere di farle conoscere”, può integrare l’artificio o il raggiro richiesto per la sussistenza del reato di truffa, in quanto il “…comportamento dell’agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo ma artificiosamente preordinato a perpetrare l’inganno…” (Cass. Sez. 2^ penale, 30 ottobre 2009, n. 41717). Anche la giurisprudenza contabile ha ritenuto che l’occultamento doloso possa realizzarsi attraverso un comportamento semplicemente omissivo del debitore avente ad oggetto un atto dovuto, cioè un atto cui il debitore sia tenuto per legge. Alla luce dei principi di diritto richiamati è da ritenere che non sia maturato il termine di prescrizione, giacché gravava sull’odierno convenuto un indiscusso dovere di comunicazione, oltre che di preventiva autorizzazione, a cui non ha ottemperato concretizzando, così, il doloso occultamento.