Corte di Cassazione, sentenza n. 11162 del 9 maggio 2018
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della attribuzione al lavoratore, anziché al datore di lavoro, dei diritti patrimoniali conseguenti ad una sua opera creativa tutelata dal diritto di autore, occorre verificare in modo rigoroso l’esistenza di uno stretto nesso di causalità fra l’attività dovuta e la creazione realizzata, accertando se questa costituisca o meno l’esito programmato della prima (Cass. n. 12089 del 2004). E’ ben vero che, in tale contesto, è il lavoratore che deve provare la ricorrenza di un’opera creata del tutto al di fuori dello svolgimento del rapporto di lavoro, fuori dell’orario di lavoro o del luogo di lavoro, e senza l’utilizzazione di strumenti, documentazione e strutture di ricerca e comunicazione appartenenti al datore di lavoro. Tuttavia, la presente causa ha un oggetto diverso: essa ha ad oggetto il licenziamento intimato sul presupposto dell’indebita cessione di diritti patrimoniali di proprietà dell’Azienda sanitaria, per cui era quest’ultima – e non il lavoratore che ha subìto la sanzione disciplinare espulsiva – a dovere provare i presupposti di legittimità del licenziamento irrogato. La Corte di appello ha chiaramente evidenziato che la titolarità del diritto di proprietà intellettuale e di sfruttamento commerciale in capo all’Azienda era sub iudice, in quanto oggetto di un diverso contenzioso pendente tra le parti e comunque non era stata provata nel presente giudizio ad opera dell’Amministrazione datrice di lavoro, sulla quale gravava il relativo onere in quanto fatto costitutivo della legittimità del licenziamento intimato. Era dunque carente in radice il presupposto di fatto posto a base del provvedimento espulsivo