Con l’aggiunta del comma 7-bis (introdotto dalla l. n. 190 del 2012) all’art. 53 del d.lgs. n.165, il legislatore ha precisato in via definitiva che “l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”. Trattasi di norma, quest’ultima, tuttavia reputata non innovativa, ma meramente ricognitiva di un pregresso prevalente indirizzo (Cass., sez. un., 2.11.2011 n. 22688) tendente a radicare in capo alla Corte dei Conti la giurisdizione in materia (ovvero sulla specifica violazione dell’obbligo di rifondere al datore della somma stabilita dal comma 7 dell’art. 53, d.lgs. n. 165) nel termine prescrizionale quinquennale, escludendo quella del giudice ordinario già in precedenza affermata da questa Sezione, come innanzi rilevato (cfr. C. conti, Sez. Lombardia, 27.1.2012 n. 31 cit., peraltro riformata in appello da C. conti, Sez. I, 13.3.2014 n. 406) sulla base di una qualificazione in chiave civilistica-lavoristica della pretesa azionata in giudizio. Ma a ciò occorre aggiungere che la medesima Suprema Corte ha successivamente chiarito, con l’ordinanza n° 19072 del 28 settembre 2016, che, nel dirimere la prospettata questione di giurisdizione, occorre distinguere tra il concetto di mera reversione del profitto conseguito (che “rappresenta una particolare sanzione ex lege al fine di rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico e quindi prescinde dai presupposti della responsabilità per danno”), e quello di eventuale danno asseritamente conseguente alla condotta del pubblico dipendente, da valutare proprio in base a detti presupposti.
In realtà, tale profilo di danno è stato configurato, in sede di gravame, proprio nella fattispecie già in passato sottoposta all’esame di questa Sezione, di cui alla menzionata sentenza n. 31 del 2012, tanto che sia in sede di appello (cfr. Corte dei conti, Sezione I, sent. n. 406 del 2014), sia in sede di decisione del conseguente ricorso per cassazione (cfr. Corte di cassazione, SS.UU. civili, sent. n. 25769 del 2015), sia, comunque, nel precedente nomofilattico di cui alla sent. Cass. SS.UU. civili n. 22688 del 2011, l’incardinamento della giurisdizione presso la Corte dei conti è stato affermato proprio in quanto collegato alla prospettazione, così come nel caso di specie, di un “danno” conseguente alla violazione dell’obbligo di riversamento di cui all’art. 53, comma 7, del d. lgs. n. 65 del 2001.